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Questo articolo, utile per la didattica di Shoah e deportazione, presenta la valutazione di 400 questionari compilati da altrettanti studenti di terza media in visita al Museo nel 2014.
“In questo museo ho riflettuto su molti temi”:
quattrocento studenti di terza media in visita al Museo della Deportazione e Resistenza di Prato
Gioia Gorla[1], Camilla Brunelli[2]
- Il Museo: come è sorto e come è organizzato
Il Museo della Deportazione e Resistenza di Prato, inaugurato nel 2002 alla presenza del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, sorge nella frazione di Figline, luogo caro alla memoria dei cittadini pratesi poiché qui, il 6 settembre del 1944, il giorno stesso della liberazione della città dal nazifascismo, ventinove giovani partigiani della Brigata Buricchi, che erano scesi a valle dalla vicina località montana dei Faggi di Iavello per partecipare alla Liberazione, furono catturati dai tedeschi in ritirata e poi impiccati. Il Museo si trova dunque vicino ad un “luogo autentico” di eccidio nazista (al Centro di documentazione se ne conserva la memoria) ma lo spazio espositivo è dedicato in modo specifico, per volontà di alcuni sopravvissuti pratesi, al tema della deportazione nei campi di concentramento e di sterminio nazisti.
Inizialmente gestito dal Comune di Prato, il Museo fu trasformato nel 2007 in Fondazione, (con il nome di Fondazione Museo e Centro di documentazione della Deportazione e Resistenza – Luoghi della Memoria Toscana) a cui partecipano tutti i Comuni della Provincia di Prato, la stessa Provincia di Prato, l‘ANED (Associazione Nazionale ex Deportati nei campi nazisti) e l’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) oltre che la Comunità Ebraica di Firenze e l’Associazione per il Gemellaggio Prato-Ebensee. Inoltre, dal 2009 la Regione Toscana richiede alla Fondazione di collaborare ai suoi grandi progetti educativi rivolti alle scuole in occasione del Giorno della Memoria (27 gennaio) per ricordare le vittime del nazifascismo, che si articolano nel Treno della Memoria diretto al campo di sterminio di Auschwitz e nel grande Meeting degli studenti al Mandela Forum di Firenze. Oltre alla didattica museale rivolta alle scolaresche, vengono programmati corsi di aggiornamento per insegnanti, viaggi studio agli ex-campi in Germani, Austria e Polonia, presentazioni di libri, mostre temporanee, piccoli spettacoli teatrali e musicali etc.
Il Museo, progettato dall’architetto Alessandro Pagliai, consta di due ambienti, molto diversi tra loro, che occupano ciascuno un piano dell’edificio. Quello posto al piano terreno è diviso a sua volta in due sale, una prima con pannelli introduttivi al contesto storico e più in particolare al sistema concentrazionario nazista, e una seconda, immersa in una penombra che suscita nel visitatore un senso di inquietudine e di angoscia, contiene una serie di espositori che documentano la vita nei campi di concentramento attraverso l’esposizione degli oggetti di uso quotidiano, quali la divisa a strisce, gli zoccoli di legno, le gamelle ma anche gli strumenti di tortura e di morte, come il nerbo con cui i prigionieri venivano picchiati o la siringa con cui alcuni furono eliminati in infermeria con una iniezione di benzina nel cuore. Si tratta perlopiù di oggetti originali che furono portati in Italia dai deportati. Altri, come gli oggetti in legno (letto a castello, portapietre a spalla, cavalletto per le punizioni), sono stati ricostruiti. L’impatto conoscitivo ed emotivo viene aumentato dal percorso audiovisivo presente in sette postazioni alle pareti, dal titolo “Con i miei occhi” in cui si può ascoltare la narrazione della vita nel lager, dall’arrivo alla liberazione, attraverso una serie di video-interviste ai sopravvissuti, in parte appositamente registrate.
Al primo piano si trova il Centro di documentazione con una sala video/conferenze ed una biblioteca specializzata. Si tratta di un ambiente luminoso, che offre uno spazio adatto allo studio. La differenza tra i due ambienti, la sala espositiva al pianterreno immersa nella penombra e il Centro al primo piano chiaro, ha l’intento di far comprendere che per realizzare la didattica di realtà storiche quali la Shoah e la deportazione non si può prescindere dall’impatto emotivo ma che bisogna al tempo stesso affidarsi al ragionamento. In altre parole, occorre, per così dire, rischiarare con la luce dell’intelligenza e dello studio l’oscurità dei sentimenti di orrore e di rifiuto che rischiano in un primo momento di travolgere chi vi si accosta, soprattutto quando si tratta di un adolescente.
- L’attività didattica del Museo
Il Museo svolge ormai da sedici anni un’intensa attività volta a far conoscere il contributo dato dal territorio pratese alla Resistenza e alla deportazione nei campi di concentramento nazisti, ma allarga poi lo sguardo alle storie di milioni di uomini e donne, vittime di arresti e rastrellamenti avvenuti in ogni parte d’Europa, deportati per motivi politici e “razziali” secondo il disegno di asservimento e annientamento di interi popoli messo in atto dalla dittatura nazista durante il secondo conflitto mondiale. Questa attività si svolge attraverso un percorso formativo di incontri propedeutici nelle scuole (il progetto “Il Museo va nelle scuole”) e con lezioni e visite guidate al Museo affidate ad un personale specializzato. Non si deve infatti dimenticare che la vocazione didattica del Museo era stata chiaramente individuata dai due cittadini pratesi deportati giovanissimi nel campo di concentramento di Ebensee (Austria) nel 1944, Dorval Vannini (1922 – 1988) e Roberto Castellani (1926 – 2004) dell’ANED, che al loro ritorno in patria si adoperarono in ogni modo affinché venisse offerta ai concittadini, e particolarmente ai più giovani, la possibilità di conoscere, attraverso oggetti, documenti e testimonianze raccolti in un luogo a questo deputato, l’ideologia e la politica nazifascista, il progetto cioè che con estrema violenza fu messo in atto dalla Germania hitleriana, insieme a chi in Europa vi collaborò, per ridurre in schiavitù ed eliminare quelli che riteneva avversari politici e “razziali”, al fine di creare un nuovo ordine europeo.
L’offerta didattica del Museo segue un percorso accuratamente studiato per contestualizzare entro l’universo concentrazionario nazista le vicende della deportazione da Prato, che ha riguardato Mario Belgrado, un membro della comunità ebraica eliminato al suo arrivo nelle camere a gas di Auschwitz – come la maggior parte dei deportati ebrei – ma soprattutto i cento trentatré civili arrestati, come avvenne per Vannini e Castellani, per rappresaglia da parte dei tedeschi e dei fascisti della Repubblica di Salò dopo gli scioperi nelle fabbriche pratesi del marzo 1944 a cui la città, con la sua industria tessile ampiamente diffusa, diede un grande contributo. Così, nella prima parte della visita, il personale del Museo illustra, anche con l’ausilio di filmati, di proiezioni Power Point, di cartine e di documenti, l’organizzazione del sistema concentrazionario nazista, soprattutto nell’ultima fase dal 1942 al 1945, con le sue varie finalità: dall’annientamento immediato di intere famiglie di ebrei, rom e sinti nei campi di sterminio allo sfruttamento, spesso fino alla morte, della forza lavoro dei deportati più forti, scelti tra ebrei “selezionati per il lavoro”, deportati politici e altre categorie, nei campi di concentramento gestiti dalle SS germaniche. Il loro lavoro, che avveniva in regime di schiavitù, andava a vantaggio dell’economia di guerra tedesca, seguendo uno spietato criterio di utilità per cui per questo motivo le persone inabili, a causa delle condizioni fisiche ormai pregiudicate, venivano subito soppresse e sostituite, grazie ai nuovi arrivi dei trasporti di deportati dai vari paesi occupati dai nazisti.
Si passa poi a informare sulla deportazione dall’Italia, e in particolare dalla Toscana, sia per quanto riguarda gli ebrei che i deportati politici, per giungere infine a soffermarsi sul campo di Ebensee, la cittadina austriaca che dal 1987 è gemellata con Prato, un sottocampo di Mauthausen nel quale furono deportati Vannini e Castellani e altre centinaia di cittadini pratesi e toscani. La proiezione di due docu-film del regista Gabriele Cecconi, Luci nel buio e Eppure quando guardo il cielo, pensati soprattutto per un pubblico adolescente, conclude questa prima parte della visita. Nella seconda parte, attraverso la visita guidata al Museo (la sala in penombra come descritta in precedenza), sono documentate e rese tangibili, grazie a oggetti e testimonianze, la vita e la morte nei campi di concentramento e di sterminio.
- Un questionario rivolto agli studenti visitatori
Il personale del Museo cominciò ad avvertire l’esigenza di approfondire il significato che la visita al Museo poteva assumere per i visitatori più giovani, osservando che molti studenti durante la visita apparivano turbati e in alcuni casi sopraffatti dall’emozione, come una ragazzina che scoppiò a piangere. Di qui la decisione di indagare le reazioni delle loro menti di adolescenti posti “di fronte all’estremo”[3] costituito da uno dei momenti più terribili della storia del Novecento, presentato non come un evento lontano, ma proprio a partire dal modo in cui si era manifestato nella realtà della piccola località della Toscana in cui sorge il Museo.
E’ nata così l’idea di formulare un questionario rivolto agli studenti, predisposto e raccolto da Enrico Iozzelli, giovane storico responsabile della didattica museale, che fornisse agli operatori del Museo dati utili per valutare l’efficacia didattica del percorso di visita offerto, intesa nel senso di un accrescimento delle informazioni, ma insieme costituisse per i ragazzi e le ragazze l’occasione per interrogarsi sull’esperienza compiuta, cogliendone anche i riferimenti alla loro vita sia nel senso dei ricordi familiari sia in relazione alle problematiche sociali in cui oggi viviamo immersi. In tal modo le emozioni, che sempre accompagnano ogni atto di conoscenza, potevano fungere da stimolo alla riflessione, come vien colto con molta esattezza nella frase di uno studente scelta come titolo per questo lavoro: “In questo museo ho riflettuto su molti temi”. Il questionario, indicato come “Scheda di valutazione dei percorsi didattici”, fa anche riferimento al percorso scolastico di ciascun studente, il che è anche sottolineato dal fatto che la visita viene effettuata all’interno del gruppo-classe a cui ciascuno appartiene, accompagnato dall’insegnante responsabile della formazione. Inoltre, proprio per ribadire lo stretto legame della visita al Museo con il percorso scolastico-formativo, le schede di valutazione sono state compilate dagli studenti in classe in un giorno di poco successivo alla visita e poi inviate dagli insegnanti al Museo.
La ricerca ha coinvolto un campione di 402 studenti di venti classi terze di dieci scuole secondarie di primo grado di Prato, che si sono recati in visita al Museo guidate dai loro insegnanti (prevalentemente di lettere) nell’aprile del 2014. Di loro, 215, cioè il 53%, sono maschi e 185, cioè il 46%, femmine, nella quasi totalità (93%) di età inferiore ai 15 anni. Quanto alla provenienza delle famiglie, il campione riflette le trasformazioni recenti della società nella provincia di Prato, tradizionalmente occupata nell’industria tessile: 170 studenti, il 72%, provenivano da famiglie italiane e 99, ossia il 25%, da famiglie in cui entrambi i genitori erano stranieri, oltre a 8 casi, 2%, di famiglie in cui uno dei genitori era straniero (che indicheremo come “famiglie miste”). Quanto agli studenti italiani, si è ulteriormente suddiviso il campione in famiglie pratesi, toscane e di altre regioni. Nel caso delle famiglie straniere, si nota una netta prevalenza di famiglie cinesi (11 %), seguite da famiglie albanesi (6%) e romene (2%), mentre gli stati del Bangladesh, El Salvador, Marocco e Pakistan erano presenti con un solo figlio.
- Analisi delle schede di valutazione della visita
La scheda di valutazione, che viene qui riprodotta in calce, si articola in tredici domande, suddivise in tre sezioni. La prima sezione riguarda le informazioni precedentemente acquisite sulla storia della Seconda guerra mondiale, la deportazione e la Resistenza, mentre con quelle della seconda sezione si chiede una valutazione dell’esperienza compiuta durante la visita al Museo. Con le domande della terza sezione, infine, gli studenti vengono invitati a narrare le notizie sulla Seconda guerra mondiale e la Resistenza che abbiano eventualmente acquisito attraverso le memorie familiari, dato che le vicende della deportazione e della Resistenza non sono oggi tanto remote da non poter essere state rievocate nel racconto di nonni o di parenti anziani. Infine, poiché le vicende della discriminazione non possono essere confinate in un periodo storico passato, le ultime tre domande invitano gli studenti ad interrogarsi su come essa si manifesta nella società in cui oggi viviamo.
Le riposte alle domande generali della prima sezione (domande 2, 3, 3.1, 3.2) evidenziano che la visita è stata preparata da un attento lavoro scolastico incentrato sui temi storici evocati durante la visita al Museo (la Seconda guerra mondiale, la deportazione e la Resistenza): solo settantatré alunni non rispondono a queste domande mentre, elemento ancora più importante perché fa riferimento ad un apprendimento attivo, alle molte risposte si accompagnano i riferimenti a libri letti oppure a film o documentari visti, di cui la domanda 3.2 invitava a indicare i titoli ricordati. Questi riferimenti riguardano in maggioranza (78%) i film, seguiti da quelli ai libri (60%) e ai documentari (36%). Tra i film, prevale nettamente La vita è bella (regia di Roberto Benigni, 1997), seguito da Schindler’s List (regia di Steven Spielberg, 1993), mentre tra i libri un vero e proprio plebiscito di duecentoquarantacinque scelte accompagna il romanzo di John Boyne Il bambino con il pigiama a righe (2006, trad.it., 2008), seguito a grande distanza da Il diario di Anna Frank (1947), con trentadue scelte.
Segue il gruppo di domande relative alla valutazione della visita (domande 4,5,6,7,8 e 9). Per quanto riguarda la domanda 4 sulla attività didattica svolta al Museo, in cui si distingue tra l’accoglienza, le spiegazioni della guida, i temi affrontati e il linguaggio utilizzato, tutti e cinque i sottogruppi degli studenti hanno espresso giudizi positivi. Più in particolare, “molto” prevale su “abbastanza” circa le spiegazioni della guida, mentre nella valutazione dell’accoglienza al Museo avviene il contrario. È da rilevare il giudizio meno positivo da parte degli alunni di famiglie straniere o “miste”, ma il dato può essere messo in relazione con una minore padronanza della lingua italiana che può aver reso più difficile la comprensione. La visita è stata poi giudicata utile per accrescere le proprie conoscenze (risposte alla domanda 5): sul totale, le risposte “molto” ammontano al 57% e le risposte “abbastanza” al 37%. Anche in questo caso, vanno rilevate tredici risposte assolutamente negative da parte di allievi di famiglie “miste”, ma, ancora una volta, il dato sembra trovare giustificazione nelle difficoltà linguistiche. I numerosi commenti finali di apprezzamento della visita e di ringraziamento agli organizzatori confermano la valutazione positiva della visita.
Le domande successive (domande 5.1, a, b, c) riguardano i temi storici affrontati durante la visita al Museo: qual è il significato del termine “soluzione finale” e quando fu messa in atto? Oltre agli ebrei, quali altri gruppi di persone furono deportati nei campi di concentramento? Quando ebbero inizio le deportazioni dall’Italia e chi ne fu il responsabile? Per attribuire un giusto punteggio alle risposte, tenuto anche conto dell’età dei giovanissimi visitatori che erano invitati ad esprimersi su eventi storici particolarmente complessi, ci siamo avvalse della consulenza di uno storico esperto nella materia[4]. Non era infatti facile decidere se dietro una formulazione poco corretta della risposta si nascondessero opinioni storicamente esatte oppure no. E’ stato così stabilito di attribuire un punteggio positivo nel caso in cui la risposta fosse precisa e completa, un punteggio positivo/negativo quando fosse imprecisa e incompleta e uno negativo quando fosse manifestamente errata. La prima e la terza domanda sono risultate le più difficili, mentre la seconda, che faceva riferimento a categorie descrittive dei deportati nei campi di concentramento e di sterminio, ha permesso una più agevole risposta, come mostra il prevalere di risposte esatte o parzialmente esatte su quelle errate. Le quasi totalità delle risposte alla prima domanda sono state soprattutto caratterizzate da una certa imprecisione e insufficienza dal punto di vista storico, ma si deve tener conto che non era facile comprendere esattamente, ed esprimere in parole, il concetto di “soluzione finale”. Come esempio di definizione valida, al di là degli errori di forma qui indicati in carattere corsivo, riportiamo quella dello studente che ha scritto: “Il termine ‘soluzione finale’ definisce il metodo utilizzato per eliminare definitvamente gli ebrei: la creazione dei campi di sterminio che fu messo in atto nel 1942 dopo la conferenza di Wannsee”. Nella quasi totalità delle risposte alla terza domanda (5. 1) c), si osserva invece una certa confusione tra le leggi razziali e la deportazione nei campi. È possibile concludere che le risposte a queste domande di tipo storico costituiscono in ultima istanza un invito a considerare con attenzione il complesso problema della didattica della storia, soprattutto quando ci si rivolge a studenti molto giovani e si tratta delle complicate vicende della storia contemporanea. Sin dalle pionieristiche ricerche di Jean Piaget [5], la psicologia dell’età evolutiva ha dimostrato infatti che molti ragazzi nella prima adolescenza sono ancora legati ad un pensiero di tipo concreto e incontrano difficoltà più o meno grandi nel maneggiare le categorie logiche astratte e questo evidentemente influenza l’apprendimento scolastico in ogni materia.
Le domande 6 e 7 vogliono esplorare gli stati d’animo che hanno accompagnato la visita, in riferimento al docu-film proiettato e al materiale esposto nella mostra. In entrambi i casi, gli studenti dichiarano un alto coinvolgimento emotivo, con percentuali generali del 43% di risposte “abbastanza” per il docu-film e del 48% per la mostra e rispettivamente del 48% e del 38% di risposte “molto”. È da sottolineare che le percentuali si innalzano nel caso di studenti di famiglie straniere e miste: qui si ha un 49% di risposte “abbastanza” e ben 63% di risposte “molto”, un dato che probabilmente è legato alla diversità culturale. Tutti i dati sono coerenti con le risposte relative alle domande sull’attenzione durante la visita (domanda 8: “Sei riuscito a mantenere l’attenzione per tutta la durata della visita?”), con percentuali generali del 60% per le risposte “abbastanza” e del 27% per le risposte “molto”. Circa poi i motivi della distrazione (domanda 8.1), va rilevato che all’attenzione dichiarata si accompagna un alto numero di mancanza di risposte alle diverse ipotesi suggerite (stanchezza, distrazione indotta dai compagni, preoccupazioni), che assomma a più della metà del totale, con l’eccezione degli studenti pratesi, il che indica forse una sorta di imbarazzo di fronte a un materiale così coinvolgente e la conseguente difficoltà ad affrontarlo.
Alla successiva domanda 9 (”Elenca brevemente quali tra i temi trattati ti hanno fatto riflettere di più”), che è una domanda aperta, le risposte sono state numerose, per un totale di trecentonovantasette, e vi hanno contribuito tutti i sottogruppi di studenti, compresi quelli di famiglia straniera e “mista”. Tali risposte permettono di arricchire quelle alle domande precedenti 6 e 7 sul coinvolgimento emotivo. I ragazzi sono stati particolarmente colpiti da alcune immagini del docu-film che evocano nella maniera più cruda la realtà dei campi di sterminio: “I morti vengono buttati in fosse con un camion che li ammassava”, “Il nazista che li spostava sembra non provare sentimenti”, “Il trattamento dei deportati toglie la dignità”, “…sono trattati come macchine da lavoro“, “… peggio delle bestie”. Ma ci sono anche riflessioni sull’educazione autoritaria nella scuola all’epoca del fascismo e sull’idealizzazione della figura di Mussolini.
Le risposte all’ultima sezione del questionario, “Esperienze personali tra memoria e attualità”, hanno riservato autentiche sorprese, perché non ci aspettavamo che nelle memorie familiari degli studenti fossero conservati tanti e talvolta significativi ricordi del periodo storico che viene rievocato nel Museo. Il 34% del campione ha risposto positivamente alla domanda n. 10 (“Nella tua memoria familiare c’è il ricordo di fatti simili a quelli narrati al Museo?”), ma le percentuali si innalzano se consideriamo solo gli studenti italiani, con un 42% per gli studenti pratesi, un 41% per quelli toscani e un 44% per quelli di altre regioni. Le percentuali sono ovviamente più basse per gli studenti stranieri (11%) e di famiglia “mista “(25%).
Questi ultimi dati vanno integrati con quelli forniti dalle risposte alla domanda 10.1, un’altra domanda aperta, che invitava a narrare brevemente episodi simili a quelli illustrati al Museo, e quindi relativi alla Seconda guerra mondiale, alla prigionia e alla deportazione, di cui si fosse venuti a conoscenza attraverso il racconto dei familiari. Gli episodi riferiti oppure, in alcuni casi, semplicemente accennati, sono in totale centoventisette, così ripartiti tra i cinque sottogruppi: settantadue narrati dagli studenti di Prato, sedici dagli studenti toscani, trentuno dagli studenti provenienti da altre regioni, sei dagli studenti di famiglia straniera e due da studenti di famiglia “mista”. Per analizzare meglio il dato, gli episodi narrati sono stati distinti in tre gruppi, relativi rispettivamente a fascismo e Seconda guerra mondiale, deportazione nei campi di concentramento e di sterminio e Resistenza. Nettamente prevalenti le narrazioni relative al fascismo e alla guerra, di cui in particolare vengono rievocate le grandi ristrettezze economiche sino alla fame e il costante sentimento di paura per i bombardamenti, e soprattutto il periodo successivo all’8 settembre del ’43 in cui tedeschi e fascisti alleati nella Repubblica Sociale Italiana incrudelirono sui civili con prepotenze e vessazioni: “A mio nonno bruciarono la fabbrica”, ha scritto uno studente. E un altro “Mio nonno quando era piccolo veniva legato e calato in un pozzo per ricattare sua mamma per dare da mangiare ai soldati tedeschi”. Alcuni studenti riferiscono del loro legame di parentela con partigiani o con i deportati: “Il mio bisnonno, Adelindo Giorgetti, è stato deportato per aver fatto uno sciopero”; “Mio bisnonno era un partigiano e fu preso. Si riuscì a liberare facendo colpo su di una soldatessa e nuotando per il fiume che aveva accanto al campo. Si chiamava Aldo Benelli” , “Mia nonna vide morire il padre della sua migliore amica perché colpito da una scheggia di una bomba al cuore e che perciò la figlia e la moglie non volevano lasciarne il corpo nel campo e i genitori della mia nonna furono costretti a portarle via con la forza” , “Mio nonno mi racconta delle manifestazioni in piazza, della divisa da balilla e del vivere la paura che da un giorno all’altro caschi una bomba sulla casa”. E c’è anche un ricordo relativo ai partigiani impiccati a Figline: “Mi è stato raccontato che durante l’impiccagione a Figline uno di essi era zio di mia nonna e lui riuscì a scappare”. Alcuni ricordi hanno un caratteristico sapore infantile, quasi da favola, che ne comprova la genuinità. Eccone un esempio: “Una volta i tedeschi entrarono nel cortile e tagliarono il collo alle oche, ma esse per un pò (sic) continuavano a camminare senza testa”.
Anche gli studenti stranieri hanno dato il loro contributo al ricordo di episodi sentiti raccontare in famiglia, ovviamente riferiti alle vicende del loro paese, in numero molto esiguo, ma con rievocazioni precise. Così uno studente di famiglia polacco-albanese ha lasciato un lungo racconto sulle persecuzioni subite dal nonno per aver nascosto degli ebrei. I tedeschi minacciarono di impiccarlo se non ne avesse rivelato il nascondiglio, ma “invece di impiccarlo lo legarono per il collo e lo fecero trascinare per tutta la strada. Finché non arrivarono gli americani e fecero scappare i tedeschi”. E un altro studente di famiglia albanese ha narrato dello sfruttamento dei ragazzi costretti a lavorare nei campi sotto la dittatura (1946-1985) di Enver Hoxha, come avvenne per suo padre.
Le ultime tre domande (domande 11, 12 e 13) si proponevano di collegare le tematiche di sopraffazione e di violenza evocate nel Museo con le forme che la discriminazione assume oggi nella nostra società, tenendo conto che la provincia di Prato ha assistito negli ultimi due decenni ad una massiccia immigrazione di lavoratori nelle industrie tessili, soprattutto dalla Cina. Le domande si riferivano ad episodi a cui si fosse eventualmente assistito (domanda 11), ai sentimenti provati (domanda 12) e al tipo di discriminazione che si ritiene più diffusa (domanda 13). Sommando le risposte positive (“a volte” e “spesso”) alla domanda 11 (“Hai mai assistito a episodi di discriminazione?”), si osserva che in tutti e cinque i sottogruppi gli studenti dichiarano di percepire una rilevante discriminazione, che viene giudicata prevalentemente di tipo “razziale” (con percentuali superiori al 60%). Quanto alla reazione emotiva di fronte ad episodi di discriminazione, è significativo che risulta assai bassa la reazione di indifferenza e ancor più quella di paura, mentre prevalgono quelle di rabbia oppure di tristezza, che sono entrambe reazioni molto attive, rivolte nel primo caso verso chi infligge la discriminazione e nel secondo di identificazione con chi la subisce. È rilevante che il numero di risposte “arrabbiato” e “triste” è molto alto per quanto riguarda gli studenti di famiglie “miste”. Si deve anche notare che molti studenti non hanno risposto alle domande sulla discriminazione, ma non va dimenticato che il tema viene ripreso nella sezione dedicata a commenti e consigli, a cui viene dedicato uno spazio al termine della scheda di valutazione.
I commenti, in numero di sessantasette, sono quasi il doppio dei consigli (che sono trentacinque), e sono stati forniti in massima parte dagli studenti pratesi (sessantaquattro, contro diciannove dagli studenti toscani e sedici da studenti italiani. Basso il numero per quanto riguarda gli studenti di famiglia straniera e “mista” (tre e tre). Il tema intorno a cui ruotano commenti e consigli è la valenza didattica della visita, per cui è stato soprattutto giudicato importante disporre di un tempo bastevole a comprendere le spiegazioni della guida e di spazio sufficiente perché tutti, pur compiendo la visita in gruppo, potessero vedere con facilità gli oggetti esposti. In generale i ragazzi hanno apprezzato la chiarezza didattica e spesso hanno espresso il loro ringraziamento per l’esperienza compiuta. Tra i consigli, molto frequente è quello di illuminare maggiormente la sala dove sono esposti gli oggetti della vita nei lager, per cui addirittura uno studente scrive: “Consiglierei al museo di accendere le luci invece di risparmiare sulla corrente”! Ma c’è in proposito da chiedersi se all’esigenza di una migliore visibilità non si associ in questo caso anche una sensazione di disagio e come di paura suscitata dalla penombra in cui sono avvolti gli oggetti che così direttamente testimoniano l’orrore della vita nei campi. Uno studente commenta “La mostra è stata molto forte” e un altro: “Vedendo gli oggetti, ci siamo sentiti come loro”, mentre, a proposito del docu-film un altro ha consigliato: “Evitate di prolungare tanto i filmati sui morti che vengono trattati come sacchi di spazzatura. Avevo i conati di vomito. Un consiglio potrebbe essere quello di riparare di più le ceneri perché sono troppo esposte”. A riprova di quanto la visita sia stata impegnativa sul piano emotivo si può infine citare il consiglio di un altro studente, che cerca di minimizzare attraverso una sconcertante battuta, peraltro subito corretta, l’impatto emotivo suscitato in lui dalla visita al Museo. “L’unico consiglio, dovreste mettere una macchinetta di merendine nel Museo perché a vedere tutte quella povera gente senza nulla da mangiare fa venire un po’ di fame, ahaha scherzo”.
- Conclusione
Dopo aver così accennato agli spunti di riflessione che derivano da un’analisi delle risposte fornite nella scheda valutativa della visita al Museo da parte di quattrocento studenti di terza media, vogliamo aggiungere un ricordo riconoscente per Roberto Castellani, deportato a Ebensee quando era un semplice ragazzo di diciotto anni, del tutto integrato nell’Italia fascista e ignaro di che cosa in realtà si nascondeva dietro il trionfalismo del regime mussoliniano, che ebbe, una volta tornato a Prato, la forza paziente di trasformare l’esperienza estrema del campo di concentramento in un’incessante richiesta di darne testimonianza, specie per i più giovani, affinché tali fatti non dovessero più ripetersi.
Questa ricerca che ha per protagonisti ragazzi di non molti anni minori di Roberto all’epoca della sua deportazione nel lager, vuol essere anche un tributo alla sua forza di adolescente che seppe resistere al male e si impegnò poi per tutta la vita a farne memoria.
Se avete domande o curiosità potete rivolgervi direttamente alla psicologa psicoterapeuta Gioia Gorla gioiagorla824@gmail.com o alla direttrice del Museo Camilla Brunelli c.brunelli@museodelladeportazione.it
[1] Psicologa psicoterapeuta
[2] Direttrice del Museo della Deportazione e Resistenza di Prato
[3] “Di fronte all’estremo” è il titolo di un celebre libro (1991) di Tzvetan Todorov ( 1937-2017) in cui vengono analizzati, sulla base delle narrazioni dei sopravvissuti, i diversi modi in cui i detenuti dei campi di concentramento nazisti e sovietici hanno fatto fronte a questa devastante esperienza..
[4] Ringraziamo il prof. Enzo Collotti, emerito di Storia contemporanea dell’Università degli Studi di Firenze, per la paziente attenzione dedicata alla valutazione di queste risposte, che ha permesso di coglierne, al di là della forma grammaticalmente poco corretta, il nucleo di verità storica.
[5] J. Piaget, B. Inhelder, Dalla logica del fanciullo alla logica dell’adolescente (1955), trad. it., Firenze, Giunti Barbera, 1971.