La deportazione dall’Italia. La furia nazista dopo l’8 settembre 1943
di Enzo Collotti
Dopo l’8 settembre del 1943 e l’occupazione dell’Italia da parte della Wehrmacht anche il nostro Paese ha pagato un alto tributo all’esercito dei deportati che alimentò i campi di concentramento e di sterminio del Terzo Reich.
La reazione dei tedeschi nei confronti dell’Italia, che sotto il peso della sconfitta militare usciva dalla guerra a fianco della Germania nazista, fu particolarmente rabbiosa, poiché́ essa, pur essendo consapevole dell’impossibilità per l’Italia di continuare lo sforzo bellico, volle presentarsi vittima del tradimento dell’ex alleata.
La presenza della Wehrmacht sul territorio italiano, in particolare dal golfo di Salerno per risalire verso il nord, fu caratterizzata da un quoziente di violenza particolarmente elevato in considerazione sia del carattere punitivo che derivò direttamente dalla volontà̀ di vendicare il “tradimento”, sia del carattere che assunsero le operazioni militari di vera e propria guerra guerreggiata che travolse l’intera area occupata dalle unità della Wehrmacht incalzate da vicino dalle armate alleate.
La prima manifestazione della violenza vendicativa fu rappresentata dalla cattura di buona parte dei militari italiani che si trovavano sotto le armi l’8 settembre e che furono deportati verso il nord, in Germania e nei territori occupati della Polonia, un contingente tra i seicento ed i settecento mila uomini, con l’intento prioritario di destinarli al lavoro forzato per l’economia di guerra tedesca.
Anziché́ sottoporli allo statuto di prigionieri di guerra previsto dalle convenzioni internazionali i militari catturati furono catalogati come internati militari (I.M.I.) appunto per negare loro le guarentigie accordate ai normali prigionieri di guerra. Quello degli I.M.I. si può̀ considerare il contingente di gran lunga più rilevante di cittadini italiani forzatamente trasportati in Germania.
Di vera e propria deportazione si deve vice- versa parlare nel caso della deportazione razziale e politica. La prima fu la conseguenza del fatto che dopo l’armistizio l’Italia venne inclusa nel progetto di “soluzione finale” per la distruzione dell’ebraismo europeo. La seconda fu tra le risposte che gli occupanti tedeschi diedero alla Resistenza contro gli occupanti ed i loro alleati della Repubblica Sociale Italiana. In entrambe le forme della deportazione il ruolo dei collaborazionisti della RSI non fu meramente secondario o subalterno.
Se si eccettua la razzia nel ghetto di Roma del 16 ottobre 1943 e le prime deportazioni di ebrei dal Südtirol, in quasi tutte le altre razzie contro gli ebrei l’infrastruttura della RSI rappresentò un supporto indispensabile per le unità tedesche, in taluni casi ne prevenne addirittura le iniziative.
L’ordine di polizia del 30 novembre 1943 con il quale il ministro dell’interno Buffarini Guidi dispose la raccolta in campi di concentramento degli ebrei, lungi dal sottrarre questi ultimi alle retate dei tedeschi, ne agevolò la cattura in massa da parte delle unità tedesche.
ebrei e perseguitati politici in attesa della deportazione furono ammassati nei quattro campi di raccolta principali allestiti sul suolo italiano: Fossoli di Carpi, Borgo S. Dalmazzo, Risiera di S. Sabba e Bolzano-Gries. Da questi siti presero le mosse i convogli della deportazione.
Diverse furono le destinazioni: per gli ebrei (se si considerano tutti i territori sotto sovranità italiana, circa 8.000) generalmente (ma non esclusivamente) Auschwitz; per i politici (partigiani ed altri appartenenti alla Resistenza) le destinazioni principali furono i Lager di Dachau, Mauthausen, Buchenwald e Dora, Flossenbürg, Ravensbrück, per un complesso quantificabile in circa tre decine di migliaia di individui, uomini e donne.
Rientra, sia pure con caratteri propri, tra le vicende della deportazione un’ulteriore categoria di persone che sono state coattivamente strappate alle loro città ed alle loro famiglie, i deportati per il lavoro forzato, presi in rastrellamenti (come nel caso del Quadraro a Roma) o in operazioni di evacuazione di massa (come nel caso di territori costieri passibili di sbarchi alleati o in aree prossime ai fronti di combattimento), nella fase in cui l’urgenza di manodopera per l’economia di guerra del Reich spinse gli occupanti all’incetta non quantificabile di forza lavoro da inviare coattivamente nelle aziende agricole e industriali del Reich o in campi di lavoro.