Le Pietre d’inciampo a Prato

Il Comune di Prato ha partecipato al progetto delle Pietre d’inciampo tra i primi in Italia, scegliendo di collocare 40 Stolpersteine (pietre d’inciampo) nei luoghi di arresto dei deportati.
A Prato nel 2013 sono state posate le prime 12 Stolpersteine, alle quali ne sono state aggiunte 28 nel corso dell’anno successivo.

La maggior parte dei deportati pratesi furono arrestati in seguito allo sciopero del marzo 1944, condotti al Castello dell’Imperatore (all’epoca sede della Guardia nazionale repubblicana) e il giorno successivo trasferiti a Firenze. Da lì furono infine deportati nei lager nazisti con un treno partito dalla stazione di Santa Maria Novella l’8 marzo e giunto a Mauthausen l’11 marzo 1944.

Le pietre d’inciampo a Prato si trovano in 9 diverse zone della città

  • Piazza delle Carceri: Calamai Giuseppe, Cecchi Antonio, Fagotti Mario, Lombardi Attilio, Nannicini Porsenna
  • Piazza San Francesco: Abati Renato, Biagini Diego, Bresci Noris, Guidotti Giovanni, Maranghi Ezio, Vannucchi Valesco
  • Via Ricasoli: Belgrado Mario
  • Piazza Duomo: Betti Leonello, Bruschi Ruggero, Caiani Umberto, Gattai Armando, Mencagli Spartaco, Pini Mario
  • Porta al Mercatale: Bartoletti Gino, Moscardi Guido
  • Piazza San Marco: Abati Edo Settimo, Gliori Giulio
  • Ex Campolmi (biblioteca Lazzerini): Giorgetti Adelindo, Gonfiantini Gonfiantino, Micheloni Ferdinando, Risaliti Palmiro
  • Ex Lucchesi (piazza Macelli): Ciabatti Aniceo, Ciabatti Maggiorano, Faggi Severino, Frilli Umberto, Gabuzzini Otello, Giachetti Cesare, Mascii Umberto, Petri Nello, Vannucchi Gino
  • Località il Pino: Bartolini Gino, Boretti Duilio, Lassi Arturo, Ponzecchi Renzo, Senatori Rolando

Biografie dei deportati ricordati nelle pietre d’inciampo a Prato

Abati Edo Settimo

PIETRA D’INCIAMPO IN PIAZZA SAN MARCO

EDO SETTIMO ABATI nacque a Prato il 14 febbraio 1926. Nel 1944, data la sua giovane età, lavorava come apprendista. Il 7 marzo 1944 venne arrestato in piazza San Marco da alcuni membri della Guarda Nazionale Repubblicana poco lontano dalla propria abitazione in seguito allo sciopero generale che in quei giorni aveva attraversato l’Italia occupata. Dopo il fermo fu portata nella sede delle GNR alla Fortezza di Prato (Castello dell’Imperatore), dove incontrò il fratello Renato, prelevato dai militi fascisti lo stesso giorno nei pressi nel liceo Cicognini, in piazza del Collegio. La sera del 7 marzo Edo Settimo fu trasferito, insieme al fratello e agli altri uomini fermati nel pratese, alle Scuole Leopoldine di Firenze, utilizzate in quei giorni come centro di raccolta per tutti gli arrestati nella provincia fiorentina. Il giorno successivo, 8 marzo, alla stazione di Santa Maria Novella furono approntati dei vagoni piombati, sui quali fu stipata la maggior parte dei prigionieri catturati dopo lo sciopero. Edo Settimo era tra loro.
Edo Settimo Abati fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e venne classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 56.887. Come molti altri deportati pratesi il 25 marzo venne trasferito nel sottocampo di Ebensee, dove morì il 2 maggio 1944 a soli 18 anni.

Abati Renato

PIETRA D’INCIAMPO IN PIAZZA SAN FRANCESCO

RENATO ABATI nacque il 25 giugno 1914 a Prato. Nel 1944 era impiegato come tessitore presso il lanificio Lucchesi in via Corradori e arrotondava lo stipendio lavorando come pasticcere. Forte delle sue convinzioni politiche socialiste, nel marzo 1944 partecipò consapevolmente allo sciopero generale. A causa di quella scelta il 7 marzo 1944 venne arrestato dalla Guardia Nazionale Repubblicana nei pressi del liceo Cicognini, in piazza del Collegio, nell’ambito di una retata effettuata per reprimere la protesta. Detenuto in un primo momento nel centro di raccolta della Fortezza di Prato (il Castello dell’Imperatore, all’epoca sede della GNR), la sera stessa venne trasferito in quello delle Scuole Leopoldine di Firenze. Al Castello dell’Imperatore incontrò il fratello Edo Settimo, arrestato lo stesso giorno in piazza San Marco, con il quale condivise le sofferenze della deportazione, alla quale nessuno dei due riuscì a sopravvivere.
Renato Abati fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 56.886. dichiarò di essere un tessitore. Il 25 marzo 1944 fu trasportato al sottocampo di Ebensee, ma venne presto riportato nel Sanitätslager di Mauthausen. Probabilmente le terribili condizioni a cui era stato costretto lo debilitarono a tal punto da essere ritenuto inabile al lavoro. Successivamente fu trasferito al centro di eutanasia del castello di Hartheim, dove fu ucciso il 15 settembre 1944 all’età di 30 anni.

Bartoletti Gino

PIETRA D’INCIAMPO A PORTA MERCATALE

GINO BARTOLETTI nacque a Prato il 3 novembre 1901. Nel 1944 lavorava come magazziniere presso la ditta Chiostri, in via Marco Roncioni e abitava nella frazione della Castellina con la moglie e quattro figli. Come la maggior parte degli altri deportati pratesi fu arrestato dalla Guardia Nazionale Repubblicana durante la retata che aveva fatto seguito allo sciopero generale del marzo 1944. Bartoletti venne fermato la sera del 7 marzo 1944 ad un posto di blocco nei pressi di Porta Mercatale, dove fu notato da uno dei suoi figli. Il giovane chiese al padre di tornare a casa con lui, ma fu allontanato da un milite fascista che senza troppi giri di parole assicurò che il prigioniero non avrebbe fatto ritorno alla propria abitazione. Quella previsione si rivelò estremamente realistica, infatti Gino Bartoletti fu portata prima alla Fortezza di Prato, sede della GNR, e poi alle Scuole Leopoldine di Firenze, seguendo un itinerario comune a decine di vittime della violenza nazifascista catturate nel mandamento pratese.
Gino Bartoletti fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 56.931. dichiarò di essere un tessitore. Il 25 marzo 1944 fu trasferito al sottocampo di Ebensee, dove perse la vita il 3 giugno 1944, dopo soli tre mesi di prigionia, all’età di 42 anni.

Bartolini Gino

PIETRA D’INCIAMPO IN LOCALITA’ IL PINO

GINO BARTOLINI nacque il 19 ottobre 1902 a Prato, nella frazione di Iolo. Operaio presso il carbonizzo Corsi, in via del Castagno, non era mai stato attratto dalla politica e per questo motivo non aveva preso parte allo sciopero generale organizzato dalle forze antifasciste nel marzo 1944. nonostante ciò, la mattina dell’8 marzo 1944 non riuscì a sottrarsi all’arresto da parte degli uomini della Guardia Nazionale Repubblicana, che lo trattennero ad un posto di blocco in località il Pino. Quel giorno era da poco uscito dall’ospedale, dove si era recato a causa delle sue condizioni fisiche e precarie, e stava andando a ritirare il libretto di lavoro, perché la ditta nella quale era impiegato stava chiudendo. Lo stesso giorno una vicina di casa informò dell’arresto la moglie di Bartolini, la quale si recò in Fortezza e poi alla stazione di Firenze, per cercare di far liberare il proprio caro o perlomeno di parlare con lui, ma fu allontanata da un milite fascista che la minacciò con il mitra. I due non si rividero più.
Gino Bartoletti fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 56.933. dichiarò di essere un operaio tessile. Il 25 marzo 1944 fu trasferito al sottocampo di Ebensee, dove morì il 5 giugno 1944, dopo soli tre mesi di prigionia, all’età di 31 anni.

Belgrado Mario

PIETRA D’INCIAMPO IN VIA RICASOLI

MARIO BELGRADO, figlio di Saul Belgrado e Cesarina Calò, era nato il 10 marzo 1905 a Firenze, ma dal 1931 si era trasferito a Prato, dove lavorava come orologiaio in una oreficeria situata nella centrale via Ricasoli. In seguito alla promulgazione delle leggi razziali del 1938 e alle crescenti persecuzioni messe in atto in Italia a partire dal 1943, dopo la nascita della Repubblica Sociale, decise nascondersi presso il laboratorio orafo nel quale era impiegato. Grazie all’aiuto del suo datore di lavoro, ebbe modo di abitare e lavorare lontano dalla propria abitazione. Purtroppo, questa precauzione non si rivelò sufficiente. Il 30 novembre 1943, probabilmente in seguito ad una delazione, venne arrestato da alcuni militi repubblicani che lo trovarono proprio in quel rifugio di via Ricasoli che fino a quel momento doveva essere sembrato sicuro. Inviato in un primo momento nel centro di raccolta di Bagno a Ripoli, venne successivamente trasferito nel carcere di San Vittore a Milano.
Mario Belgrado fu deportato da Milano il 30 gennaio 1944 ad Auschwitz, dove arrivò il 6 febbraio 1944. di lui non si conoscono il numero di matricola né la data del decesso, che potrebbe probabilmente coincidere con quella del suo arrivo nel campo. Molti deportati ad Auschwitz, infatti, furono selezionati appena scesi dal treno come inabili al lavoro e immediatamente uccisi nella camere a gas.

Betti Leonello

PIETRA D’INCIAMPO IN PIAZZA DUOMO

LEONELLO BETTI era nato a Barberino di Mugello il 24 ottobre 1908, ma aveva trovato impiego a Prato, presso la ditta tessile Parenti. L’8 marzo 1944 si stava recando proprio sul luogo di lavoro per sapere se sopo il bombardamento del giorno precedente l’attività era ripresa. Prima della nascita della Repubblica Sociale Italiana era stato responsabile locale nei gruppi balilla ed aveva sicuramente numerose conoscenze nell’ambiente fascista. Tuttavia, dopo l’8 settembre 1943 non aveva aderito alla RSI e forse anche per questo quella mattina fu arrestato in piazza Duomo dai suoi ex camerati. Molto probabilmente sia lui che la famiglia cercarono di farlo rilasciare puntando sul suo passato di fascista militante, ma non riuscirono nel loro intento e l’uomo fu tradotto alla Fortezza e poi alle Scuole Leopoldine di Firenze. Durante la prigionia si sfogò con i suoi compagni di sventura, lamentandosi delle sue precedenti scelte politiche e ammettendo che non avrebbe mai immaginato di trovarsi in una tragedia simile. A differenza di altri non ebbe neanche la magra consolazione di essersi battuto contro il regime prima di doverne subire la persecuzione.
Leonello Betti fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 56.961. Dichiarò di essere un tessitore, ma durante la prigionia fu sfruttato come manovale. Fu poi trasferito al sottocampo di Gusen e successivamente a quello di Ebensee, dove morì il 22 aprile 1945, alle soglie della liberazione, all’età di 36 anni.

Biagini Diego

PIETRA D’INCIAMPO IN PIAZZA SAN FRANCESCO

DIEGO BIAGINI era nato a Prato il 19 aprile 1894. Nel 1944 era sfollato a Calenzano con la moglie e i quattro figli per sfuggire ai continui bombardamenti che quasi ogni giorno colpivano il centro laniero. Caporeparto della tessitura di Ettore Lucchesi, era un convinto antifascista e aveva partecipato consapevolmente allo sciopero generale dei primi di marzo del 1944. Per questo motivo fu catturato in piazza San Francesco la sera del 7 marzo 1944, poi portato al Castello dell’Imperatore e infine alle Scuole Leopoldine di Firenze. Non vedendolo tornare, i suoi familiari lo cercarono in città ma non ebbero notizia alcuna sulla sua sorte. Poi seppero soltanto che “era partito un treno pieno di uomini” e che Diego era fra questi. Lo stesso 7 marzo un violento bombardamento alleato si abbattè su Prato, provocando sedici morti, ingenti danni alla città e distruggendo anche la casa di Biagini. In un solo giorno la famiglia aveva perso il padre e la casa.
Diego Biagini fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 56.962. Dichiarò di essere un meccanico tessile. Fu poi trasferito al Sanitätslager di Mauthausen, dove morì l’8 aprile 1944, dopo un solo mese dall’arresto, alle soglie del suo cinquantunesimo compleanno.

Il 13 giugno 1944 la moglie Natalia ricevette una lettera scritta in italiano e in tedesco, firmata dal capitano Von Alberti, comandante della “Polizia di sicurezza” della sede di Firenze: “Sono assai spiacente dovervi comunicare, che il Vostro marito, Diego Biagini, nato il 19 marzo 1894 a Prato, è morto sul posto di lavoro l’8 aprile 1944 a causa di una incursione nemica. Questa lettera vale come certificato di morte presso le autorità italiane.” Quelle poche righe non dicevano tutta la verità sulla morte di Diego Biagini. Infatti, se la data fu effettivamente quella indicata, l’uomo non morì “a causa di una incursione nemica”, ma fu deliberatamente ucciso nel Sanitätslager di Mauthausen. Dopo l’esecuzione di Gino Gelli, avvenuta durante il viaggio verso l’Austria, Diego Biagini fu il primo del gruppo partito da Prato a morire nel campo. La sua famiglia è stata l’unica a ricevere una comunicazione ufficiale da parte delle autorità naziste.

Boretti Duilio

PIETRE D’INCIAMPO IN LOCALITA’ IL PINO

DUILIO BORETTI nacque a Prato il 25 ottobre 1916. Nel 1943 era militare di leva e sfruttò l’armistizio dell’8 settembre e la conseguente dissoluzione dell’esercito regio per tornare a casa e tentare di rifarsi una vita. Purtroppo non riuscì a riprendere il suo lavoro di cenciaiolo a causa della persistente crisi economica resa endemica dal conflitto. Essendo disoccupato, non ebbe modo di partecipare allo sciopero generale, ma la mattina del 7 marzo 1944 venne comunque fermato in località il Pino, mentre rientrava a casa di via Bologna dopo essere stato a fare visita ai suoi genitori nella frazione di San Giusto. Condotto alla Fortezza e poi alle Scuole Leopoldine di Firenze, l’8 marzo fu rinchiuso assieme ai suoi compagni di sventura nei vagoni piombati alla stazione di Santa Maria Novella.
Duilio Boretti fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 56.982. Dichiarò di essere un tessitore, ma durante la prigionia fu sfruttato come manovale. Il 25 marzo 1944 fu trasferito al sottocampo di Ebensee, dove morì il 13 febbraio 1945 all’età di 28 anni.

Bresci Noris

PIETRA D’INCIAMPO IN PIAZZA SAN FRANCESCO

NORIS BRESCI (Norisse Giuseppe Antonio), era nato il 15 giugno 1902 a Prato. Nel 1944 era operaio tessile presso il lanificio Lucchesi, dove la mattina dell’8 marzo 1944 era tornato in servizio dopo aver preso parte allo sciopero generale nei giorni precedenti. Quello stesso giorno fu arrestato sul luogo del lavoro insieme ad altri dipendenti dello stesso stabilimento da alcuni militi della Guardia Nazionale Repubblicana, ai quali era stato ordinato di aumentare il numero di uomini da deportare nei campi di concentramento nazisti per punire le proteste degli operai italiani e sfruttarne al contempo la manodopera. In quell’occasione alcuni industriali pratesi collaborarono attivamente con la milizia fascista, segnalando con elenchi dettagliati quali tra i loro dipendenti si era astenuto dal lavoro, segnandone così la condanna.
Noris Bresci fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 56.987. Dichiarò di essere un tessitore, ma durante la prigionia fu sfruttato come manovale. Il 25 marzo 1944 fu trasferito al sottocampo di Ebensee, dove morì il 19 gennaio 1945 all’età di 42 anni.

Bruschi Ruggero

PIETRA D’INCIAMPO IN PIAZZA DUOMO

RUGGERO BRUSCHI nacque il 29 settembre 1896 a Cantagallo, piccolo Comune situato nella Valbisenzio, ma nel 1944 abitava a Prato, in via Rubieri, ed era capo filatore presso la ditta Berretti, situata sempre nel centro laniero in via dell’Abbaco. Pur non avendo partecipato allo sciopero generale dei giorni precedenti, la sera del 7 marzo venne fermato da un gruppo di fascisti repubblicani nei pressi di Porta al Serraglio e condotto alla Fortezza. La moglie e la figlia, venute a sapere dell’arresto da una conoscente, il giorno successivo si recarono a Firenze a piedi per tentare di farlo rilasciare. Purtroppo, riuscirono soltanto a vederlo salire sulla camionetta che lo portava alla stazione, scortato da due ali di militi repubblicani. Da quel momento le due cercarono in tutti i modi di informarsi sulla sorte del proprio caro, ma non riuscirono a saperne più niente.
Ruggero Bruschi fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 56.992. Dichiarò di essere un tessitore. Il 25 marzo 1944 fu trasferito al sottocampo di Ebensee, dove morì il 6 maggio 1944 all’età di 47 anni.

Caiani Umberto

PIETRA D’INCIAMPO IN PIAZZA DUOMO

UMBERTO CAIANI nacque a Poggio a Caiano il 7 settembre 1892. nel 1944 abitava in via Ciliani e lavorava come follatore presso l’azienda di Orlando Franchi. Fu arrestato in piazza del Comune la mattina dell’8 marzo 1944 dalla Guardia Nazionale Repubblicana, mentre stava andando in bicicletta a riscuotere la pensione della sorella invalida. Non si era mai occupato attivamente di politica e molto probabilmente non aveva neanche partecipato allo sciopero, ma fu comunque portato alla Fortezza e poi alle Scuole Lepoldine di Firenze. Mentre era agli arresti, riuscì a chiedere a un conoscente di avvertire la famiglia, che il giorno precedente era sfollata nella frazione di Iolo. Non appena vennero a sapere cosa era accaduto i suoi familiari cercarono immediatamente il sostegno di un fascista di loro conoscenza (tale Tanini, residente in via Rubieri), per tentare il tutto per tutto e farlo rilasciare. L’intervento fu rapido, ma non ebbe esito positivo: riuscirono soltanto a recuperare la sua bicicletta.
Umberto Caiani fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 57.000. Dichiarò di essere un tessitore. Il 25 marzo 1944 fu trasferito al sottocampo di Ebensee, dove morì il 25 maggio 1944 all’età di 51 anni.

Calamai Giuseppe

PIETRA D’INCIAMPO IN PIAZZA DELLE CARCERI

GIUSEPPE CALAMAI, nato il 2 aprile 1918 a Prato, nel 1944 lavorava come capofabbrica in un’azienda tessile pratese. Non era attratto dalla politica e probabilmente non partecipò allo sciopero generale. Quando i militi della GNR lo fermarono il 7 marzo 1944 in piazza delle Carceri non si preoccupò eccessivamente della sua sorte, essendo convinto che sarebbe stato rilasciato al più presto. Mentre era nelle mani dei suoi aguzzini fu riconosciuto dal fratello Giulio, di due anni più giovane, che era disoccupato e stava tornado a casa dopo essersi nascosto nel rifugio antiaereo del convitto Cicognini per ripararsi dal bombardamento che aveva colpito il centro laniero quello stesso giorno. Sapendo che Giuseppe non aveva fatto niente di male, Giulio volle seguirlo al Castello dell’Imperatore e poi, inconsapevole del destino che li stava attendendo, decise di restare con il fratello anche durante il trasferimento alle Scuole Leopoldine di Firenze. Il giorno successivo furono entrambi caricati sui carri piombati alla stazione di Santa Maria Novella.
Giuseppe e Giulio Calamai furono deportati da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivarono l’11 marzo 1944 e furono classificati con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo i numeri di matricola 57.001 e 57.002. Giulio dichiarò di essere un calzolaio disoccupato, mentre Giuseppe si dichiarò tessitore. Il 25 marzo 1944 furono entrambi trasferiti al sottocampo di Ebensee. Per circa tre mesi i due fratelli riuscirono a stare insieme, aiutandosi a vicenda nelle avversità, poi Giuseppe fu trasferito al Sanitätslager di Mauthausen e successivamente al centro di eutanasia di Hartheim, dove morì il 10 ottobre 1944 a 26 anni. Giulio, invece, riuscì a sopravvivere fino all’arrivo delle truppe americane, che liberarono il campo di Ebensee il 6 maggio 1945. Al ritorno a casa scoprì che anche il padre era morto, vittima di uno dei tanti bombardamenti che sconvolsero la città di Prato durante la guerra.

Cecchi Antonio

PIETRA D’INCIAMPO IN PIAZZA DELLE CARCERI

ANTONIO CECCHI nacque il 17 giugno 1905 nella frazione di Tobbiana a Prato. Nel 1944 lavorava come operaio tessile addetto alla classificazione degli stracci presso il lanificio Pecci. Era un convinto comunista, si adoperava attivamente per il “soccorso rosso” e discuteva spesso di politica con i compagni. Le sue idee contrarie al regime erano ben conosciute dai fascisti pratesi, che lo avevano arrestato una prima volta nel 1941. Gli stessi uomini tornarono a prenderlo nella sua abitazione la notte del 6 marzo 1944. Diversamente di quanto accaduto per altri elementi di spicco dell’antifascismo cittadino, Antonio Cecchi fu colto di sorpresa dai suoi aguzzini, che gli tolsero il tempo di conoscere la feroce reazione organizzata in risposta allo sciopero generale dei giorni precedenti, evitando così che organizzasse un’eventuale fuga.
Antonio Cecchi fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 57.039. Dichiarò di essere un operaio tessile. Il 25 marzo 1944 fu trasferito al sottocampo di Ebensee, dove rimase fino al 17 febbraio 1945, quando fu inviato al sottocampo di Gusen. Probabilmente in questo nuovo campo le sue condizioni peggiorarono rapidamente, perché il 13 marzo venne trasferito al Sanitätslager di Mauthausen, dove morì il 5 aprile 1945, dopo un altro mese di sofferenze, all’età di 39 anni.

Ciabatti Aniceto

PIETRA D’INCIAMPO IN PIAZZA MACELLI

ANICETO CIABATTI, padre di Maggiorano, era nato il 23 maggio 1889 a Mazzone, piccola frazione di Prato e abitava a Mezzana, nella periferia est della città. Durante la guerra era sfollato da mezzana nel piccolo centro di Paperino, dove aveva deciso di spostarsi con la famiglia in seguito ai bombardamenti che in quel periodo colpivano il centro laniero. Nel 1944 era impiegato presso il lanificio Guido Lucchesi, lavorando in una tintoria separata dallo stabilimento principale situata in piazza dei Macelli. Nel corso del ventennio non si era mai esposto contro il regime, ma decise comunque di partecipare allo sciopero generale del marzo 1944, forse trovando ispirazione nelle tradizioni socialiste della famiglia. La sera del 7 marzo, dopo aver appreso dalla radio che erano previste delle rappresaglie contro le famiglie di chi avrebbe continuato la protesta, decise di tornare a lavoro. L’8 marzo 1944, quindi, si recò in fabbrica accompagnato dal figlio Maggiorano, che lavorava nel suo stesso stabilimento e che come lui aveva scioperato nei giorni precedenti. Nel corso della mattina la figlia Andalusa, preoccupata per i suoi cari, telefonò al padre per sapere se erano stati presi dei provvedimenti punitivi nei loro confronti. L’uomo la rassicurò, accennando a un tesserino (forse rilasciato dal suo datore di lavoro) che lo rendeva tranquillo per ogni evenienza. In realtà, a fine mattinata tutti gli operai della ditta furono radunati nel piazzale della sede principale, dove trovarono ad attenderli alcuni uomini della GNR. Al lanificio Lucchesi i militi repubblicani arrestarono gli scioperanti che riuscirono ad identificare grazie all’aiuto del proprietario della ditta. Tra gli uomini fermati quella mattina c’erano anche Aniceto e Maggiorano, che furono caricati su di un pullman insieme agli altri e portati prima alla Fortezza di Prato e poi alle Scuole Leopoldine di Firenze. Infine, anche gli operai arrestati in quella fabbrica furono caricati su dei vagoni piombati alla stazione di Santa Maria Novella.
Aniceto Ciabatti fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 57.050. Dichiarò di essere un operaio addetto alla colorazione dei tessuti. Il 25 marzo 1944 fu trasferito al sottocampo di Ebensee, dove rimase fino al settembre dello stesso anno, quando fu trasferito insieme al figlio al Sanitätslager di Mauthausen e poi sempre con lui al centro di eutanasia di Hartheim. I due erano molto legati e durante la prigionia cercarono di aiutarsi in ogni momento. Questo atteggiamento rese più difficile la loro sopravvivenza, perché spesso si privarono del poco cibo che gli veniva consegnato per offrirlo al congiunto, dissipando così calorie preziose per la sopravvivenza. Inoltre, lo strazio provocato dal vedere un proprio caro subire in ogni momento delle terribili sofferenze portò a una continua prostrazione anche psicologica i due Ciabatti. Al momento della partenza da Ebensee i due erano convinti di andare in un ospedale e rivolgendosi al loro compagno di sventure Roberto Castellani gli raccontarono: “Roberto, ci mandano in un ospizio, s’è finito di patire. Ci mandano ad Hartheim”. Padre e figlio non sapevano che al castello di Hartheim sarebbero stati uccisi. Aniceto morì nel centro di eutanasia di Hartheim il 4 ottobre 19474, all’età di 45 anni. Suo figlio subì la stessa sorte sei giorni più tardi.

Ciabatti Maggiorano

PIETRA D’INCIAMPO IN PIAZZA MACELLI

MAGGIORANO CIABATTI, figlio di Aniceto, nacque il 1° maggio 1927 a Mazzone, piccola frazione di Prato. Lavorava con il padre in una tintoria situata in una succursale del lanificio Lucchesi e come il padre aveva preso parte allo sciopero generale del marzo 1944. Padre e figlio tornarono insieme sul posto di lavoro l’8 marzo e quello stesso giorno, a fine mattinata, si recarono insieme ai colleghi alla sede principale della ditta, situata in piazza dei Macelli, dove erano stati convocati dal proprietario. Maggiorano nutriva dei dubbi su quell’insolito raduno, ma decise di assecondare il volere del padre e lo seguì. Una volta giunti al lanificio, il giovane intuì che le cose stavano andando per il peggio e, pur non potendo prevedere cosa sarebbe realmente accaduto, in un primo momento pensò di allontanarsi dall’edificio. Abbandonò comunque ogni eventuale progetto di fuga, perché era consapevole che suo padre non avrebbe potuto seguirlo a causa della sua età. Entrambi rimasero dunque nella fabbrica e furono arrestati insieme ad altri scioperanti del lanificio Lucchesi, caricati sul pullman che i fascisti avevano preparato all’esterno dello stabile e condotti prima alla Fortezza e poi alle Scuole Leopoldine di Firenze.
Maggiorano Ciabatti fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 57.051. Dichiarò di essere un apprendista operaio tessile. Il 25 marzo 1944 fu trasferito con il padre al sottocampo di Ebensee, dove rimase fino al settembre 1944, quando venne inviato, sempre insieme al padre al Sanitätslager di Mauthausen. Successivamente, furono entrambi portati al centro di eutanasia di Hartheim, dove Maggiorano morì il 10 ottobre 1944, a soli 17 anni, seguendo la sorte di Aniceto, anche lui ucciso nella camera a gas sei giorni prima.

Faggi Severino

PIETRA D’INCIAMPO IN PIAZZA MACELLI

SEVERINO FAGGI nacque il 16 febbraio 1894 a Cafaggio, piccola frazione di Prato. Era tessitore presso il lanificio Lucchesi di piazza dei Macelli e partecipò allo sciopero generale del marzo 1944. Martedì 7 marzo confidò ad alcuni vicini di casa che il giorno successivo sarebbe tornato in fabbrica per paura di un possibile arresto, infatti era stato avvertito che se non fosse rientrato a lavoro i fascisti sarebbero andati a prenderlo a casa. Inconsapevole del suo destino, l’8 marzo 1944 si presentò al lanificio Lucchesi, dove fu arrestato insieme a molti colleghi che avevano incrociato le braccia nei giorni precedenti. Con loro venne caricato su di un pullman e condotto alla Fortezza di Prato. Insieme a coloro che in quei giorni erano stati rastrellati dalle truppe fasciste fu successivamente portato alle Scuole Leopoldine di Firenze, per essere infine stipato su un treno che dalla stazione di Santa Maria Novella partì sempre l’8 marzo alla volta di Mauthausen.
Nella prima parte del viaggio Severino Faggi riuscì a gettare dal treno un biglietto per i propri familiari, nella speranza di trovare un anima buona che lo portasse a destinazione. In poche righe chiedeva a chiunque avesse recuperato quel foglio di carta di consegnarlo alla figlia Isora, per informarla che suo padre stava andando a lavorare in Germania. Molto probabilmente Faggi, come la maggioranza dei deportati che erano con lui, non era a conoscenza del proprio destino, ma cercò comunque di fare il possibile per tranquillizzare i propri cari anche senza poter essere con loro. Il messaggio era scritto su una cartolina rilasciata direttamente dalla ditta Lucchesi, nella quale era specificato che l’uomo si era recato “regolarmente” al lavoro. Non si hanno notizie certe su altri documenti del genere, ma certo quel piccolo attestato non servì a salvare Faggi dalla repressione nazifascista.
Severino Faggi fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 57.105. Dichiarò di essere un tessitore. Il 25 marzo 1944 fu trasferito al sottocampo di Ebensee, dove morì dopo soli due mesi il 24 maggio 1944, all’età di 50 anni.

Fagotti Mario

PIETRA D’INCIAMPO IN PIAZZA DELLE CARCERI

MARIO FAGOTTI era nato a Barberino di Mugello il 2 ottobre 1908, risiedeva a Pizzidimonte, frazione di Prato, e nel 1944 era impiegato nel centro laniero come portiere presso la ditta Viarino. La sera del 7 marzo 1944, mentre si recava a lavoro, incontrò alcuni sui conoscenti, che lo avvertirono della retata messa in atto dalla Guardia Nazionale Repubblicana. Nonostante le raccomandazioni l’uomo non si preoccupò, perché non avendo partecipato allo sciopero si riteneva al sicuro da qualsiasi rappresaglia. Tuttavia, una volta arrivato in piazza delle Carceri fu arrestato dai militi della Guardia Nazionale repubblicana che lo portarono rapidamente alla loro sede della Fortezza. L’8 marzo, mentre sua moglie partoriva una bambina, Mario Fagotti fu trasferito alle Scuole Leopoldine di Firenze insieme agli altri uomini rastrellati nel circondario. Alcuni parenti avevano tentato di rintracciarlo, ma avevano scoperto troppo tardi cosa era accaduto, giungendo a Firenze quando il loro caro era già in viaggio verso l’Austria.
Mario Fagotti fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 57.106. Dichiarò di essere un operaio. Il 25 marzo 1944 fu trasferito al sottocampo di Ebensee, dove morì il 3 novembre 1944, all’età di 36 anni.

Frilli Umberto

PIETRA D’INCIAMPO IN PIAZZA MACELLI

UMBERTO FRILLI nacque il 5 ottobre 1900 a Prato. Nel 1944 abitava nel centro laniero, in via di Gello, ed era impiegato presso il lanificio Lucchesi, dove fu arrestato la mattina dell’8 marzo, probabilmente in seguito alla sua partecipazione allo sciopero generale. Prima di essere trascinato via dai militi repubblicani riuscì a consegnare la sua busta paga alla cuoca della mensa aziendale, la quale la recapitò alla famiglia dello sfortunato collega. Seguì anche lui lo stesso percorso dei suoi colleghi di lavoro e di molti altri uomini rastrellati in quei giorni, passando dal Castello dell’Imperatore, dalle Scuole Leopoldine e dalla stazione di Santa Maria Novella per arrivare infine a Mauthausen. Durante il viaggio gettò un bigliettino anonimo dal vagone sul quale era stato rinchiuso nella speranza che qualcuno lo portasse ai suoi familiari per rassicurali sulle sue condizioni. Nel pericolo e nell’incertezza di quei tragici momenti molti deportati tornarono con i loro pensieri ai propri cari, che forse non avrebbero più rivisto, e la maggior parte delle volte cercarono di tranquillizzarli, anche se per farlo erano costretti a mentire.
Umberto Frilli fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 57.141. Dichiarò di essere un tessitore. Il 25 marzo 1944 fu trasferito al sottocampo di Ebensee, dove riuscì a sopravvivere fino all’arrivo delle truppe americane, il 6 maggio 1945. Purtroppo, le sofferenze patite durante la prigionia non gli permisero di tornare dai suoi cari. Umberto Frilli cessò di vivere il 12 maggio 1945, sei giorni dopo la liberazione, probabilmente a causa di un enterite. La sua salma fu inumata nel piccolo cimitero del villaggio di Goisern, dove aveva trovato la morte, situato nelle vicinanze di Ebensee.

Gabuzzini Otello

PIETRA D’INCIAMPO IN PIAZZA MACELLI

OTELLO GABUZZINI nacque il 24 febbraio 1895 nel piccolo centro abitato di San Giorgio a Colonica, situato nella periferia a su di Prato. Tessitore al lanificio Lucchesi, venne arrestato la mattina dell’8 marzo 1944 assieme a molti colleghi che erano tornati a lavoro proprio quel giorno, dopo la conclusione dello sciopero generale. Tutti gli operai rastrellati furono immediatamente condotti alla Fortezza, sede della GNR. Quando i familiari di Gabuzzini seppero cosa era successo tentarono di farlo liberare, sollecitando una persona influente di loro conoscenza, che tuttavia non riuscì ad aiutarli. Infatti, lo stesso 8 marzo gli uomini arrestati in quei giorni avevano lasciato il Castello dell’Imperatore ed erano stati condotti alle Scuole Leopoldine di Firenze e poi sui carri bestiame preparati alla stazione di Santa Maria Novella.
Otello Gabuzzini fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 57.148. Dichiarò di essere un tessitore. Il 25 marzo 1944 fu trasferito al sottocampo di Ebensee, dove morì il 15 marzo 1945, dopo un anno di prigionia, all’età di 49 anni.

Gattai Armando

PIETRA D’INCIAMPO IN PIAZZA DUOMO

ARMANDO GATTAI era nato il 27 aprile 1909 a Prato, dove risiedeva. Nel 1944 era sfollato a San Giusto, una piccola frazione poco lontano dal centro città, e lavorava in proprio come artigiano. La mattina dell’8 marzo si recò a controllare gli effetti del bombardamento del giorno precedente su alcune case di sua proprietà situate in piazza Mercatale e nel tragitto incappò in un posto di blocco approntato dalla Guardia Nazionale Repubblicana nei pressi di piazza Duomo dove fu arrestato. Gattai era conosciuto da molti concittadini, che non appena videro cosa era successo informarono i suoi familiari. Subito iniziò una disperata ricerca, che purtroppo si concluse in un nulla di fatto. L’uomo fu rapidamente portato alla Fortezza insieme agli altri rastrellati. Con loro fu poi condotto alle Scuole Leopoldine e infine alla stazione di Santa Maria Novella prima che qualcuno potesse intercedere per lui nel tentativo di salvarlo.
Armando Gattai fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu classificato con la categoria [i]Schutzhäftling[/b] (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 57.164. Dichiarò di essere un tessitore, forse per non essere separato da quei concittadini che erano stati deportati con lui. Il 25 marzo 1944 fu trasferito al sottocampo di Ebensee, dove morì il 19 gennaio 1945, all’età di 35 anni.

Giachetti Cesare

PIETRA D’INCIAMPO IN PIAZZA MACELLI

CESARE GIACHETTI era nato a Prato il 19 luglio 1903 e risiedeva in via Arcangeli, appena fuori le mura che cingono il centro laniero. Lavorava presso il lanificio Lucchesi e, pur non avendo mai dimostrato interesse per la politica, probabilmente partecipò allo sciopero generale come molti suoi colleghi. Fu arrestato la mattina dell’8 marzo proprio al lanificio Lucchesi, dai militi della Guardia Nazionale Repubblicana che si erano recati in fabbrica con lo scopo di prelevare tutti coloro che si erano astenuti dal lavoro nei giorni precedenti. Come i suoi compagni di sventura fu condotto alla Fortezza, sede della GNR, e il giorno stesso alle Scuole Leopoldine di Firenze, che per l’occasione furono utilizzate come centro di raccolta e punto di appoggio per controllare e smistare tutti i rastrellati che dovevano essere deportati in seguito allo sciopero generale. In giornata chi non riuscì a sfuggire dalle mani degli aguzzini venne condotto alla stazione di Santa Maria Novella e inviato nei lager nazisti.
Cesare Giachetti fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 57.172. Dichiarò di essere un tessitore. Il 25 marzo 1944 fu trasferito al sottocampo di Ebensee, dove morì l’8 maggio 1944, all’età di 40 anni, dopo soli due mesi dal suo arresto.

Giorgetti Adelindo

PIETRA D’INCIAMPO ALLA EX-FABBRICA CAMPOLMI (oggi BIBLIOTECA LAZZERINI)

ADELINDO GIORGETTI nacque a Montemurlo, in provincia di Prato, il 21 dicembre 1884 ed era impiegato come fuochista nella ditta Campolmi, situata a ridosso delle mura del centro laniero. Pur essendo poco interessato alla politica decise di prendere parte allo sciopero generale insieme alla maggior parte dei suoi colleghi e insieme a molti di loro tornò a lavoro la mattina dell’8 marzo 1944. Quella stessa mattina il maresciallo dei carabinieri Giuseppe Vivo si recò con una squadra di uomini armati alla cimatoria Campolmi e portò via una dozzina di operai scelti tra quelli ce si erano assentati da lavoro nei giorni precedenti, trascinandoli al Castello dell’Imperatore. Giorgetti era fra loro. La notizia degli arresti si diffuse velocemente e i suoi familiari riuscirono a giungere a Prato nel volgere di un’ora, ma non trovarono più nessuno. Tutti gli uomini fermati erano già stati trasferiti dalla Fortezza alle Scuole Leopoldine di Firenze.
Adelindo Giorgetti fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 57.177. Dichiarò di essere un operaio tessile. Il 25 marzo 1944 fu trasferito al sottocampo di Ebensee, dove rimase solo pochi giorni prima di essere trasferito al Sanitätslager di Mauthausen, nel quale morì il 31 maggio 1944, all’età di 59 anni.

Gliori Giulio

PIETRA D’INCIAMPO IN PIAZZA SAN MARCO

GIULIO GLIORI nacque il 9 febbraio 1920 a Villa Basilica, in provincia di Lucca. Era operaio tessile presso la manifattura Scardassi di via del Romito. Venne arrestato in piazza San Marco il 7 marzo 1944, mentre si recava a comprare il latte per la figlia. Molto probabilmente non era informato sui posti di blocco approntati dai militi della Guardia Nazionale Repubblicana nel centro laniero, ma anche se ne fosse stato a conoscenza difficilmente avrebbe preso delle precauzioni, perché era estraneo alla politica. La giovane moglie ventitreenne lo attese tutto il giorno e, non vedendolo tornare neppure per la notte, l’8 marzo si recò alla Fortezza per avere informazioni dalle autorità del regime. Purtroppo anche per lei non ci fu niente da fare. Come molti altri uomini anche suo marito era stato condotto alle Scuole Leopoldine di Firenze e poi alla stazione di Santa Maria Novella.
Giulio Gliori fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 57.187. Dichiarò di essere un operaio tessile, ma nel lager fu sfruttato fino allo sfinimento come manovale. Il 25 marzo 1944 fu trasferito al sottocampo di Ebensee, dove morì all’età di 25 anni il 16 aprile 1945, quando ormai la liberazione era alle porte.

Gonfiantini Gonfiantino

PIETRA D’INCIAMPO ALL’EX-FABBRICA CAMPOLMI (oggi BIBLIOTECA LAZZERINI)

GONFIANTINO IPPOLITO GONFIANTINI era nato a Prato il 23 gennaio 1892 e lavorava come fuochista alla fabbrica Campolmi. Nel 1944 risiedeva a Cafaggio, in una casa dove all’inizio della guerra era sfollato anche il suo caporeparto. Come la maggior parte dei deportati pratesi, anche Gonfiantini non era un antifascista militante, ma aveva comunque partecipato allo sciopero generale del marzo 1944. Decise di tornare a lavoro l’8 marzo su consiglio del proprio caporeparto, certamente ignaro di cosa sarebbe realmente accaduto, ma anche in seguito alle minacce di rappresaglia ascoltate alla radio, attraverso la quale le autorità nazifasciste intimavano la ripresa delle attività produttive pena l’arresto per chiunque avesse portato ancora avanti la protesta. Gonfiantini, quindi, l’8 marzo 1944 si recò alla cimatoria Campolmi convinto di riprendere a lavorare. In realtà, fu arrestato dagli uomini del maresciallo Vivo, che lo portarono al Castello dell’Imperatore, sede della GNR. Lo stesso giorno venne condotto alle Scuole Leopoldine di Firenze e poi alla stazione di Santa Maria Novella.
Gonfiantino Gonfiantini fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 57.180. dichiarò di essere un fuochista. Il 25 marzo 1944 fu trasferito al sottocampo di Ebensee. Nel giro di poche settimane venne ricoverato nell’infermeria del campo, perché non era più in grado di lavorare a causa delle dure condizioni di vita e dalle sofferenze alle quali erano costretti i deportati. Purtroppo, non riuscì più a guarire. Morì all’età di 52 anni il 15 maggio 1944, dopo circa due mesi dal suo arresto.

Guidotti Giovanni

PIETRA D’INCIAMPO IN PIAZZA SAN FRANCESCO

GIOVANNI GUIDOTTI era nato il 23 giugno 1921 a Prato. Quando l’8 settembre 1943 venne data la notizia dell’armistizio firmato dall’Italia con gli Alleati era militare di leva e sfruttò la confusione del momento per lasciare l’esercito e tornare a casa. Abitava a Prato, in via Roma, nei pressi del centro storico della città. Era un fornaio, ma a causa della crisi economica che attanagliava la penisola non riuscì a trovare un impiego. Era ancora disoccupato quando l’8 marzo 1944 fu arrestato da alcuni militi della Guardia Nazionale Repubblicana in via Santa Trinita, a pochi passi da casa. Non appena il padre venne a sapere del suo fermo si recò alla Fortezza per avere sue notizie, ma riuscì soltanto a sapere che era stato già trasferito a Firenze. Da quel momento nessuno dei suoi familiari seppe più niente della sua sorte.
Giovanni Guidotti fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 57.198. dichiarò di essere un rappresentante. Il 25 marzo 1944 fu trasferito al sottocampo di Ebensee, dove morì il 29 marzo 1945 all’età di 23 anni, dopo un anno di sofferenze.

Lassi Arturo

PIETRA D’INCIAMPO IN LOCALITA’ IL PINO

ARTURO LASSI nacque a Prato il 15 ottobre 1900. Lavorava come cardatore nella ditta Bartolini ed era sfollato a villa Bianchini, nella frazione di Iolo, per sfuggire ai bombardamenti che durante la guerra si abbattevano costantemente sul centro laniero. Nel 1937 era stato circa un mese in prigione per aver frequentato alcuni comunisti che facevano propaganda contro il regime. A partire da quel momento subì costantemente le persecuzioni fasciste. Diffidato e schedato nel Casellario Politico Centrale, oltre a subire continue perquisizioni nella propria abitazione in qualsiasi ora del giorno e della notte, veniva periodicamente arrestato ogni qual volta passavano in città elementi di spicco nella gerarchia del regime o si celebravano particolari ricorrenze del calendario fascista. Nel dopoguerra la moglie testimoniò in tribunale contro alcuni degli uomini che lo avevano perseguitato, ricordandone i nomi e le malefatte. Molto probabilmente, i continui soprusi lo intimorirono al punto da non farlo partecipare allo sciopero generale del 1944, ma questo non gli evitò di essere fermato al posto di blocco organizzato l’8 marzo dalla Guardia Nazionale Repubblicana in località il Pino. Quella mattina si stava recando a lavoro, ma non raggiunse mai alla fabbrica. Fu condotto dai militi fascisti alla Fortezza,sede della GNR, e in seguito a Firenze, prima alle scuole Leopoldine e poi alla Stazione di santa Maria Novella.
Arturo Lassi fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 57.208. dichiarò di essere un tessitore. Il 25 marzo 1944 fu trasferito al sottocampo di Ebensee, dove morì il 9 maggio 1944 all’età di 43 anni, dopo soli due mesi dal suo arresto.

Lombardi Attilio

PIETRA D’INCIAMPO IN PIAZZA DELLE CARCERI

ATTILIO LOMBARDI, nato il 28 ottobre 1907 a Pistoia, era capomacchina nella filatura Vallecorsi e dopo l’inizio della guerra era sfollato a Calenzano. Fu arrestato la sera del 7 marzo 1944 in piazza delle Carceri, mentre stava andando a trovare una parente malata. Come la maggior parte degli uomini fermati nel corso della retata organizzata in seguito allo sciopero del marzo 1944 non era un accanito antifascista, né aveva mai manifestato una particolare attenzione alla politica. Nonostante ciò fu arrestato dai militi della GNR, perché il principale obiettivo dell’azione repressiva messa in atto in quei giorni era raggiungere un numero sufficientemente alto di persone da inviare in Germania, a prescindere dai reali precedenti dei fermati, che furono praticamente ignorati.
Attilio Lombardi fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 57.218. Dichiarò di essere un macchinista e probabilmente per le sue capacità di operaio specializzato non seguì la sorte della maggior parte degli altri deportati da Prato. Tuttavia, la sua qualifica non lo salvò dalle torture e dalle sofferenze riservate ai suoi compagni di sventure. Il 24 marzo 1944 venne trasferito nel sottocampo di Gusen, dove fu sfruttato come macchinista fino al il 10 marzo 1945, quando fu inviato nel sottocampo di Linz. Probabilmente le sue condizioni peggiorarono rapidamente, perché di lì a poco fu trasportato nel Sanitätslager di Muathausen, dove morì il 19 aprile 1945 all’età di 37 anni.

Maranghi Ezio

PIETRA D’INCIAMPO IN PIAZZA SAN FRANCESCO

EZIO MARANGHI, nato a Prato il 19 gennaio 1926, era dipendente di una drogheria situata nel centro della città. La sera del 7 marzo 1944, mentre stava tornando a casa al termine della giornata di lavoro, fu arrestato da alcuni carabinieri in piazza San Francesco, poco distante dal negozio nel quale prestava servizio. Fu immediatamente portato nella sede della GNR alla Fortezza, dove incontrò il fratello Vincenzo, di un anno più giovane, che era stato arrestato lo stesso pomeriggio nei pressi di Porta al Serraglio, mentre cercava di informarsi sui danni causati dal bombardamento alleato che si era abbattuto sulla città. Il giorno successivo furono entrambi condotti alle Scuole Leopoldine di Firenze e poi caricati sui vagoni piombati in attesa alla stazione di Santa Maria Novella, con i quali vennero inviati a Mauthausen.
Ezio Maranghi fu deportato insieme al fratello da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 57.240. dichiarò di essere un apprendista. Il 25 marzo 1944 fu trasferito, sempre col fratello, al sottocampo di Ebensee. Nonostante fossero stati assegnati a squadre di lavoro differenti, i giovani furono in grado di mantenersi sempre in contatto, incontrandosi ogni sera dopo l’appello. Perfino quando a maggio Ezio venne inviato al Sanitätslager di Mauthausen ebbero ben presto occasione di rincontrarsi, perché nei primi giorni di luglio anche Vincenzo fu trasportato nell’infermeria del campo principale. I due giovani Maranghi restarono insieme anche quando dopo circa due mesi furono entrambi inviati nuovamente a Ebensee e costretti a lavorare e soffrire fino ai giorni della liberazione. Soltanto alla fine della guerra i loro destini si separarono. Ezio morì a Ebensee il 5 maggio 1945, il giorno prima dell’arrivo delle truppe americane. Aveva solo 19 anni. Vincenzo, invece, riuscì a sopravvivere e in seguito ad un rocambolesco viaggio attraverso le Alpi fu uno tra i primi deportati pratesi a tornare a casa.

Mascii Umberto

PIETRA D’INCIAMPO IN PIAZZA MACELLI

UMBERTO MASCII nacque il 9 ottobre 1891 a Prato. Nel 1944 era impiegato insieme alla moglie presso il lanificio Lucchesi. Pur avendo un buon rapporto con il titolare dell’azienda, i coniugi Mascii decisero di partecipare allo sciopero generale, forse più per solidarietà verso i colleghi che per una profonda volontà politica. Pur non avendo ricevuto nessuna indicazione ufficiale da parte degli organizzatori sulla conclusione della protesta, l’8 marzo 1944 i due tornarono in fabbrica, assecondando il sentire degli altri opera. Quella mattina, tutti i dipendenti furono chiamati nel piazzale dell’edificio. La moglie di Umberto Mascii preoccupata per quella convocazione inaspettata cercò di convincere il marito a fuggire, ma l’uomo non volle ascoltarla e si recò all’appuntamento. A partire da quel momento non ebbe più nessuna via di scampo. L’uomo fu arrestato insieme a molti altri lavoratori del lanificio Lucchesi e portato alla Fortezza. Da lì venne poi trasferito con i suoi involontari compagni di viaggio alle Scuole Leopoldine e infine alla stazione di Santa Maria Novella.
Umberto Mascii fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 57.253. dichiarò di essere un tessitore. Il 25 marzo 1944 fu trasferito al sottocampo di Ebensee, dove morì all’età di 52 anni, il 23 aprile 1944 dopo circa un mese dal suo arrivo. Alcuni superstiti pratesi ricordano di aver appreso con dolore della sua dipartita, perché ritenevano che l’uomo fosse il primo di loro a morire durante la prigionia. La morte di Mascii venne segnalata nei registri del campo come un uccisione “durante un tentativo di fuga”. In realtà, quell’espressione era un modo comunemente usato per nascondere gli omicidi a sangue freddo compiuti dalle SS di guardia ai lager. Di fatto, l’uomo fu costretto ad avvicinarsi alla rete di recinzioni del campo e poi freddato con un colpo di mitra da una SS addetta alla sorveglianza.

Mencagli Spartaco

PIETRA D’INCIAMPO IN PIAZZA DUOMO

SPARTACO MENCAGLI nacque a Prato il 12 dicembre 1924. impiegato presso la ditta di autotrasporti dei fratelli Canova, venne arrestato dai carabinieri di stanza nel centro laniero la mattina dell’8 marzo 1944 in piazza San Francesco, mentre si recava a lavoro in compagnia del fratello Marcello, di dodici anni. Il piccolo Marcello fu invece rilasciato e avvertì immediatamente i genitori, che tentarono fin da subito di far liberare anche il figlio maggiore, ma senza fortuna. Spartaco seguì insieme agli altri deportati pratesi le tappe che passando dalla Fortezza e dalle Scuole Leopoldine lo portarono in un solo giorno sui vagoni piombati alla stazione di Santa Maria Novella.
Spartaco Mencagli fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 57.266. dichiarò di essere un impiegato. Il 25 marzo 1944 fu trasferito al sottocampo di Ebensee, dove morì il 20 maggio 1944 all’età di 19 anni, dopo soli due mesi dal suo arrivo nel lager.

Micheloni Ferdinando

PIETRA D’INCIAMPO ALL’EX-FABBRICA CAMPOLMI (oggi BIBLIOTECA LAZZERINI)

FERDINANDO MICHELONI nacque a Cantagallo, in provincia di Prato, il 20 aprile 1889. Nel 1944 abitava nella frazione di Poggio Secco e lavorava come operaio tessile presso la cimatoria Campolmi. L’8 marzo si recò a lavoro molto presto, perché doveva svolgere il turno di mattina. Quello stesso giorno fu arrestato da una pattuglia di carabinieri guidata dal maresciallo Vivo, che prelevò dalla cimatoria Campolmi alcuni operai che avevano aderito allo sciopero generale. Portato con i colleghi alla Fortezza, seguì con loro il tragitto degli altri pratesi deportati, che prima di essere stipati nei carri bestiame alla stazione di Santa Maria Novella furono portati alle Scuole Leopoldine, il centro di raccolta per gli uomini e le donne arrestati nella estesa retata messa in atto dalle autorità saloine.
Ferdinando Micheloni fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo si concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 57.272. dichiarò di essere un tessitore. Il 25 marzo 1944 fu trasferito al sottocampo di Ebensee, dove tuttavia rimase per poco tempo. Infatti, dopo poco più di un mese fu nuovamente trasferito a Mauthausen. Morì al Sanitätslager di Mauthausen il 17 aprile 1944 all’età di 60 anni.

Moscardi Guido

PIETRA D’INCIAMPO A PORTA MERCATALE

GUIDO MOSCARDI, nato a Prato il 30 agosto 1907, abitava in via Cavaglianese ed era impiegato come magazziniere nella ditta gestita dal padre dell’architetto Bardazzi. La sera del 7 marzo 1944 fu arrestato in piazza Mercatale insieme al suo datore di lavoro, poco dopo aver chiuso il magazzino insieme a lui. Le famiglie dei due, avvisate immediatamente dell’accaduto, si impegnarono per far liberare i propri congiunti, ma mentre Bardazzi fu subito rilasciato, Moscardi venne trattenuto alla Fortezza sede della Guardia Nazionale Repubblicana, per essere poi condotto alle Scuole Leopoldine di Firenze. La famiglia Bardazzi, tuttavia, non si disinteressò del suo dipendente e cercò di sfruttare le proprie conoscenze per salvarlo, in virtù della lunga e positiva conoscenza che avevano da anni. È rimasta traccia di quell’interessamento in un lettera inviata il 7 aprile 1944 dalla signora Bardazzi al commissario prefettizio Fracassini. Nella missiva la donna faceva riferimento a una precedente conversazione telefonica fra i due, grazie alla quale era venuta a conoscenza che gli arresti erano correlati allo sciopero generale. A tale proposito assicurava le autorità sulla presenza a lavoro di Moscardi nei giorni della protesta e ne richiedeva il rilascio. Lo stesso commissario prefettizio Tommaso Fracassini rispose alla lettera l’11 aprile successivo, assicurando che erano in corso delle pratiche atte al rimpatrio degli uomini fermati a Prato e deportati in Germania. In realtà, i pochi che riuscirono a sopravvivere ai lager tornarono a casa solo dopo la fine della guerra.
Guido Moscardi fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 57.290. dichiarò di essere un manovale. Il 25 marzo 1944 fu trasferito al sottocampo di Ebensee, dove morì il 1° maggio 1944 all’età di 36 anni.

Nannicini Porsenna

PIETRA D’INCIAMPO IN PIAZZA DELLE CARCERI

PORSENNA NANNICINI nacque a Prato il 13 febbraio 1904. Nel 1944 abitava nella frazione di Cafaggio ed era dipendente della filatura Poppino e Mazzoni, situata in via Zarini. Suo fratello Vittorio era stato ucciso a Cafaggio da un gruppo di fascisti prima dell’avvento del regime a causa delle sue idee socialiste, ma Porsenna non si era mai occupato attivamente di politica e si riteneva al sicuro da qualsiasi rappresaglia. Per questo motivo l’8 marzo 1944, nonostante fosse stato sconsigliato da familiari e conoscenti allarmati dall’arresto di due compaesani avvenuto la sera precedente, si recò ad acquistare un supplemento di carne che gli era stato concesso dal dottore per le sue precarie condizioni di salute. Nel tragitto fu fermato a un posto di blocco organizzato dai militi della Guardia Nazionale Repubblicana al tabernacolo della Madonna del Berti, in via Roma, che lo portarono subito alla Fortezza di Prato e poi alle Leopoldine insieme agli altri uomini catturati quel giorno. Mentre si trovava in piazza delle Carceri in attesa di partire per Firenze fu visto dalla sorella. La giovane gli chiese di fuggire, ma lui rifiutò, perché non aveva fatto niente di male ed era sicuro di essere rimandato a casa.
Porsenna Nannicini fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 57.296. dichiarò di essere un operaio tessile. Il 25 marzo 1944 fu trasferito al sottocampo di Ebensee. In breve tempo fu poi inviato al Sanitätslager di Mauthausen, probabilmente a causa delle sue precarie condizioni fisiche, dove fu ucciso il 18 giugno 1944 all’età di 40 anni.

Petri Nello

PIETRA D’INCIAMPO IN PIAZZA MACELLI

NELLO PETRI nacque a Prato l’8 gennaio 1902 in una famiglia contadina. Sposato e con quattro figlie, lavorava come follatore presso la ditta dei fratelli Lucchesi, ma arrotondava lo stipendio facendo il calzolaio e aiutando i genitori nei campi. Petri era un convinto antifascista, anche se i molti impegni non li permisero mai una partecipazione militante nell’opposizione al regime. Forte delle sue idee politiche prese parte consapevolmente allo sciopero generale e tornò a lavoro soltanto l’8 marzo, come molti altri colleghi, probabilmente soltanto per riscuotere lo stipendio. Quella stessa mattina fu arrestato da alcuni militi della GNR che si erano recati al lanificio Lucchesi con un pullman, allo scopo di portar via il maggior numero di uomini atti al lavoro, selezionandoli tra coloro che avevano incrociato le braccia nei giorni precedenti. La moglie, insospettita dal mancato rientro dell’uomo, nell’arco della mattinata fece andare la figlia Bruna a cercarlo. La bambina, che aveva solo tredici anni, cercò il padre sul luogo di lavoro e fu rassicurata dal portiere della ditta, che le confermò di averlo visto nell’edificio. Tuttavia, nel pomeriggio Nello Petri non era ancora rientrato alla propria abitazione e la moglie tornò a chiedere sue notizie. Soltanto allora le fu detto che il marito era stato arrestato. L’uomo ormai aveva già intrapreso le prime tappe del percorso che lo avrebbe portato a Mauthausen, passando dalla Fortezza, dalle Scuole Leopoldine e dalla stazione di Santa Maria Novella.
Nello Petri fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 57.339. dichiarò di essere un lavoratore agricolo. Il 25 marzo 1944 fu trasferito al sottocampo di Ebensee, dove morì il 25 aprile 1944 all’età di 42 anni, dopo un solo mese dall’arrivo in quel lager.

Pini Mario

PIETRA D’INCIAMPO IN PIAZZA DUOMO

MARIO PINI nacque a Prato il 28 settembre 1921. Nel 1944 risiedeva a Coiano, piccola frazione nella periferia a nord del centro laniero, e gestiva una ditta tessile a conduzione familiare. Non era attratto dalla politica e preferì non prendere arte allo sciopero generale organizzato dalle forze antifasciste, nelle quali non riponeva troppa fiducia. Il 7 marzo era a lavoro quando un violento bombardamento alleato colpì la città, provocando sedici morti e ingenti danni a numerosi edifici del centro, tra i quali anche la sua azienda, dove tutte le finestre andarono in frantumi. Mario rimase fino a tardi a ripulire e uscì soltanto nel tardo pomeriggio per accompagnare a casa la fidanzata. Rimasto solo si incamminò verso la propria abitazione passando da piazza Duomo, dove venne fermato a uno dei tanti posti di blocco disseminati in città dai militi della Guardia Nazionale Repubblicana.
Non vedendolo tornare dopo il coprifuoco i suoi familiari si allarmarono, ma conoscendo l’estraneità di Mario alla politica non collegarono la sua assenza con le proteste che in quei giorni agitavano la città. Soltanto la mattina dell’8 marzo seppero che era stato arrestato dagli uomini della GNR e andarono alla Fortezza, dove chiesero informazioni sulla sorte del proprio caro al maresciallo dei carabinieri Vivo. L’ufficiale sostenne di non sapere dove erano finiti gli uomini arrestati la sera prima, anche se sicuramente era a conoscenza dei pullman che avevano trasferito tutti i rastrellati di quei giorni dal Castello dell’Imperatore alle Scuole Leopoldine di Firenze, ultima tappa di molti deportati toscani prima di essere stipati sui vagoni piombati alla stazione di Santa Maria Novella.
Mario Pini fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 aprile 1944 e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 57.347. dichiarò di essere un tessitore, ma nel lager fu sfruttato come manovale fino alla morte. Il 25 marzo 1944 fu trasferito al sottocampo di Ebensee. Nel mese di ottobre fu trasferito nella baracca dei tubercolotici, dalla quale non ebbe in sorte di uscire vivo. Morì a Ebensee a soli 23 anni. Era il 19 febbraio 1945.

Ponzecchi Renzo

PIETRA D’INCIAMPO IN LOCALITA’ IL PINO

RENZO PONZECCHI era nato a Prato il 2 ottobre 1919 e nel 1944 si trovava a Prato, sopo aver prestato servizio nel regio esercito in Albania, Grecia e Russia. Abitava a San Giusto e lavorava con il fratello Giorgio nella ditta Benassai, situata in piazza Mercatale. La mattina dell’8 marzo 1944 i due fratelli ebbero una lunga discussione per decidere se considerare concluso lo sciopero, alla fine della quale Renzo si avviò a lavoro lasciando Giorgio a casa. Fu arrestato in località il Pino dai militi della Guardia nazionale Repubblicana, che quella mattina avevano messo in atto una estesa retata in tutto il centro della città. Portato prima alla Fortezza e poi alle Scuole Leopoldine, fu infine caricato su un vagone bestiame alla stazione di Santa Maria Novella e deportato a Muathausen. Durante il viaggio riuscì a inviare un messaggio alla famiglia, scrivendo poche parole su una tessera annonaria che aveva in tasca al momento dell’arresto: “Siamo su un carro bestiame, ci portano in Germania”. Quelle furono le ultime parole che riuscì a comunicare ai suoi cari.
Renzo Ponzecchi fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 57.354. dichiarò di essere un tessitore, ma nel lager fu sfruttato come manovale fino alla morte. Fu trasferito al sottocampo di Melk e poi in quello di Ebensee, dove morì il 30 settembre 1944 a soli 24 anni.

Risaliti Palmiro

PIETRA D’INCIAMPO ALL’EX- FABBRICA CAMPOLMI (oggi BIBLIOTECA LAZZERINI)

PALMIRO RISALITI nel marzo 1944 era sfollato nella frazione di Vergaio per sfuggire ai bombardamenti alleati, lavorava alla ditta Campolmi e molto probabilmente partecipò senza tentennamenti allo sciopero generale, perchè da anni manifestava ferme idee politiche antifasciste. Risaliti era nato a Prato il 20 marzo 1981, quindi affrontò il ventennio prima e la guerra poi nel pieno dei suoi anni, arrivando al travagliato periodo della Repubblica Sociale Italiana con un bagaglio di esperienza che gli permetteva di valutare con una discreta consapevolezza la situazione scaturita in Italia dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Fu arrestato la mattina dell’8 marzo 1944 nella rifinizione Campolmi dagli uomini del maresciallo dei carabinieri Giuseppe Vivo, che si erano introdotti nella fabbrica allo scopo di prelevare un cospicuo numero di scioperanti. quella stessa mattina Risaliti era tornato nella sua vecchia abitazione di via del Serraglio, nel centro della città, per chiudere il portone lasciato inavvertitamente aperto la era prima, quando era andato a controllare gli effetti del bombardamento alleato che si era abbattuto su Prato. Dopo aver chiuso casa decise di andare a lavoro, forse perchè fu informato da qualche collega della possibile conclusione della protesta o perchè intimorito dalle rappresaglie annunciate alla radio dalle autorità fasciste. Quella scelta si rivelò fatale. Dopo l’arresto anche Palmiro Risaliti venne condotto alla Fortezza e successivamente inviato insieme a tutti gli altri rastrellati a Firenze, prima alle Scuole Leopoldine e poi alla stazione di Santa Maria Novella.
Palmiro Risaliti fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportati per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 57.372. Dichiarò di essere addetto ala colorazione dei tessuti, ma nei lager fu sfruttato come manoval fino alla morte. Il 25 marzo 1944 fu trasferito al sottocampo di Ebensee, dove morì il 12 marzo 1945 all’età di 52 anni, dopo circa un anno dal suo arresto.

Senatori Rolando

PIETRA D’INCIAMPO IN LOCALITA’ IL PINO

ROLANDO SENATORI era un giovane commerciante nato a Prato il 17 agosto 1920. Abitava in piazza Mercatale, nel centro della città, ma nel 1944 era sfollato nella frazione di San Giusto. Non era molto interessato alla politica e, lavorando in proprio, non partecipò allo sciopero generale. L’8 marzo 1944 fu comunque fermato dagli uomini della Guardia Nazionale Repubblicana ad un posto di blocco in località il Pino. Senatori si stava recando a controllare se il bombardamento del giorno precedente aveva provocato dei danni alla propria abitazione, lasciata proprio per evitare i pericoli portati dai continui attacchi aerei alleati. In quelle stesse ore aveva un appuntamento con la moglie, che non vedendolo arrivare si insospettì e iniziò a subito a cercarlo, riuscendo ad incontrarlo poco prima che fosse trasferito alla Fortezza. Al colmo della disperazione, la donna informò della situazione il socio in affari di Senatori, influente squadrista, nella speranza di un suo intervento. L’uomo, pur sapendo che tra i fermati c’era anche suo fratello, si dichiarò troppo occupato e rimandò qualsiasi azione ad un momento successivo. Decise di interessarsi quando non c’era ormai più niente da fare: sia suo fratello che Rolando Senatori erano ormai in viaggio verso l’Austria.
Rolando Senatori fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 57.403. dichiarò di essere un tessitore, ma nel lager fu sfruttato come manovale fino alla morte. Il 25 marzo 1944 fu trasferito al sottocampo di Ebensee, dove morì il 13 aprile 1945 all’età di 24 anni, a meno di un mese dalla liberazione del campo.

Vannucchi Gino

PIETRA D’INCIAMPO IN PIAZZA MACELLI

GINO VANNUCCHI nacque a Prato il 20 aprile 1891. Nel 1944 lavorava nella tintoria di proprietà della ditta Lucchesi dislocata in piazza dei Macelli. La mattina dell’ 8 marzo si recò alla sede principale dell’azienda, in via Corradori, dove il titolare aveva fatto radunare tutti i dipendenti con il pretesto della distribuzione della paga settimanale. Vannucchi, quindi, si recò al lanificio Lucchesi, inconsapevole di quanto stava per accadere e una volta giunto in fabbrica fu catturato insieme a molti colleghi dai militi della Guardia Nazionale Repubblicana, che portarono tutti i rastrellati alla Fortezza e successivamente alle Scuole Leopoldine di Firenze. Gino Vannucchi fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 57.456. dichiarò di essere un operaio. Il 25 marzo 1944 fu trasferito al sottocampo di Ebensee, ma già il 6 giugno venne riportato al Sanitätslager di Mauthausen, dove morì pochi giorni dopo all’età di 53 anni, dopo soli tre mesi dal suo arresto. Era il 10 giugno 1944.

Vannucchi Valesco

PIETRA D’INCIAMPO IN PIAZZA SAN FRANCESCO

VALESCO VANNUCCHI nacque a Prato l’11 novembre 1927. Lavorava come cardatore alla filatura Gelli, situata in via Roma, zona Fontanelle. La sera del 7 marzo 1944 si recò nella frazione di Chiesanuova per accertarsi delle condizioni di due zie in seguito al bombardamento avvenuto nelle ore precedenti. Lungo il tragitto incontrò un cugino, che lo rassicurò sulla salute delle donne, con le quali aveva parlato poco prima. Il giovane Valesco volle comunque andare a fare visita alle parenti prima di rientrare in casa. E fu proprio nella strada per tornare alla propria abitazione che incappò in un posto di blocco organizzato dai fascisti in piazza San Francesco. Nonostante la sua giovane età venne fermato dai militi della Guardia Nazionale Repubblicana e portato alla Fortezza. Il giorno successivo fu trasferito in pullman alle Scuole Leopoldine, insieme agli altri uomini catturati nel pratese durante la rappresaglia nazifascista.
Valesco Vannucchi fu deportato da Firenze l’8 marzo 1944 nel campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu classificato con la categoria Schutzhäftling (deportato per motivi di sicurezza), ricevendo il numero di matricola 57.458. Dichiarò di essere un apprendista e nel lager fu sfruttato fino allo sfinimento come metalmeccanico. Il 18 maggio 1944 fu trasferito al sottocampo di Gusen, dove morì il 25 marzo 1945, dopo un anno dal suo arresto. Valesco Vannucchi era uno dei più giovani deportati pratesi, aveva solo 17 anni.

Cosa sono le Pietre d’inciampo

STOLPERSTEINE (pietre d’inciampo)

Le Pietre d’inciampo, Stolpersteine in tedesco, sono un progetto realizzato dall’artista berlinese Gunter Demnig a partire dal 1995 per collocare nel tessuto urbano e sociale delle città europee una memoria diffusa di tutte le vittime della deportazione nei campi di concentramento e sterminio nazisti.
Il progetto di Demnig prese corpo a partire dal 1990 in seguito ad una discussione con una donna di Colonia, che negava l’arresto e la deportazione di oltre mille sinti dalla sua città da parte del Reich nazista. Scosso da quell’episodio, Demnig decise di agire attivamente contro il pericolo di dimenticare i crimini nazisti e le vittime del sistema concentrazionario nazista, adoperandosi per portare avanti la memoria di ogni singolo deportato.
Per restituire dignità e visibilità alle vittime dei campi nazisti, l’artista ideò delle piccole targhe di ottone della dimensione di un sampietrino (10 x 10 cm), da collocare davanti alla casa nella quale abitava un deportato o nel luogo in cui era stato arrestato, sulle quali incidere pochi dati identificativi: nome e cognome, data di nascita, luogo di deportazione e data della morte.
Le informazioni scolpite nei sampietrini intendono realizzare un processo inverso rispetto a quello creato nei campi di concentramento, restituendo dignità di individuo a chi era considerato soltanto un numero.
Allo stesso tempo le pietre hanno lo scopo di far inciampare in senso figurato le riflessioni dei singoli cittadini o dei turisti che passano vicino all’opera, costringendoli a ricordare il motivo per il quale i sampietrini si trovano proprio lì, in quel preciso luogo: oggi di uso comune, ma un tempo teatro di una tragedia capace di stravolgere la vita di milioni di persone.
Le Stolpersteine, quindi, racchiudono nella loro semplicità tanti significati. Sono un’opera d’arte discreta e integrata con il tessuto urbano della città, un monumento-non monumento che intreccia memoria pubblica e privata, passato e presente, individuo e collettività in un percorso di ricerca storica e di conoscenza che si batte contro l’oblio partendo dalla memoria della deportazione.
Un altro aspetto che caratterizza l’opera di Demnig è la sua estrema capillarità. L’iniziativa delle Stolpersteine è iniziata nel 1995 a Colonia, coinvolgendo nel corso degli anni diciassette Paesi europei e raggiungendo un totale di oltre 56.000 Pietre d’inciampo nel 2016. Nonostante la sua diffusione su scala europea, l’iniziativa non conosce una dimensione fissata nel tempo, perché di fatto non è possibile sapere quanto ci vorrà per collocare tanti sampietrini quanti sono stati i deportati. In tal senso questa opera collettiva si proietta nel futuro, coinvolgendo milioni di cittadini di oggi e di domani a riflettere sul significato di quelle pietre, nelle quali inciamperanno nel corso della vita di tutti giorni.
per maggiori informazioni è possibile visitare il sito: www.stolpersteine.eu

Le Pietre d’inciampo in Italia

L’iniziativa delle Stolpersteine (pietre d’inciampo) è iniziata nel 1995 a Colonia e nel corso degli anni ha coinvolto diciassette Paesi europei, superando le 60.000 pietre.
In Italia il progetto ha preso campo a partire dal 2010 con la collocazione delle prime pietre a Roma e si è diffuso su scala nazionale con il coordinamento dell’associazione Arte in memoria, che affronta i temi legati alla memoria con i mezzi espressivi dell’arte contemporanea.