Persecuzioni antiebraiche in Toscana

di Marta Baiardi

Con l’8 settembre 1943, all’annuncio dell’armistizio italiano con gli alleati, cominciò per la popolazione civile la fase più drammatica e dolorosa della guerra. Ma peggio fu per gli ebrei. Per loro, sotto i tedeschi e la RSI, si aprì il periodo più violento e feroce della loro millenaria storia nel nostro paese: la “persecuzione delle vite”, vale a dire il sistematico rastrellamento di ognuno per la deportazione e lo sterminio, compresi donne, vecchi e bambini. Dapprima furono i tedeschi a scagliarsi contro gli ebrei con eccidi, deportazioni e razzie. La più imponente di queste operazioni si svolse a Roma, nell’alba piovosa e livida del 16 ottobre 1943, quando più di mille ebrei romani, di cui solo una quindicina sarebbero tornati a casa, furono catturati ed avviati ad Auschwitz. Ma la stessa unità mobile tedesca che aveva operato a Roma, investì anche la Toscana tra il 5 e il 6 novembre 1943, colpendo contemporaneamente Firenze, Siena e Montecatini, arrestando e deportando centinaia di vittime. A Firenze fu poi la volta delle razzie nei conventi, dove molti perseguitati si erano rifugiati con l’aiuto di un comitato di salvataggio ebraico-cristiano. Al Carmine, dove si trovavano molte donne ebree con i loro figli piccoli, avvenne l’episodio più terribile. Ci fu un’irruzione nazifascista la notte del 26 novembre e poi, per ben quattro giorni, le donne recluse, prima di essere deportate ad Auschwitz (dove tutte trovarono la morte), patirono ogni sorta di violenza da parte dei militi fascisti di guardia, accorsi in aiuto dei tedeschi.

Ma alla metà di novembre del 1943, il regime collaborazionista della RSI era pronto ormai ad avviare in proprio la persecuzione degli ebrei, prontamente dichiarati “stranieri nemici” da arrestare e depredare. Dovevano essere catturate “famiglie intere”, come precisò il questore di Firenze in una circolare del dicembre 1943 diretta alle forze dell’ordine. Da allora infatti anche nella nostra regione furono i prefetti e i questori a condurre la caccia agli ebrei. Ai tedeschi restò il compito di avviare le vittime ai campi di sterminio. Erano dunque presenti due apparati polizieschi paralleli, che operarono di concerto ai danni degli ebrei inermi, i quali d’altro canto, dopo aver perso ogni diritto erano stati ridotti allo stato di pure prede. Tutti gli studi più recenti ed approfonditi dimostrano ormai inequivocabilmente come l’antisemitismo sterminazionista abbia rappresentato un tratto costitutivo della RSI, niente affatto secondario, anche se nel dopoguerra i “ragazzi di Salò” preferirono seppellire questo aspetto, adottando un atteggiamento autoassolutorio e addossando ai nazisti ogni responsabilità per la Shoah italiana. Invece spesso uomini e apparati attuarono le persecuzioni con piena convinzione ed efficacia.
In Toscana in particolare l’antisemitismo istituzionale della RSI fu particolarmente virulento, e non solo a Firenze con l’operato dell’Ufficio Affari Ebraici della prefettura repubblicana. Emblematico fu anche il caso del solerte prefetto di Grosseto, che su scala locale anticipava per proprio conto la politica persecutoria del governo centrale.
In Toscana la geografia delle persecuzioni ebbe due epicentri: uno a Firenze, dove maggiore era la concentrazione di ebrei sia residenti che profughi, e l’altro nella Toscana nord occidentale, nelle province di Lucca e Pistoia, dove molti erano gli ebrei sfollati dalla costa e soprattutto gli ebrei stranieri, lì internati nei “campi del duce” fin dal 1940, che furono arrestati prevalentemente dai carabinieri locali.

Indice riassuntivo degli arresti di ebrei seguiti da deportazione dalle province toscane:
Arezzo 64
Firenze 311
Grosseto 38
Livorno 33
Lucca 112
Pisa 16
Pistoia 84
Siena 17
TOTALE 675

La caccia agli ebrei nella nostra regione portò a centinaia di deportati. Furono essenziali delazioni e collaborazioni diffuse per realizzare questo risultato. Ma la maggioranza degli ebrei si salvò. Alcuni (pochi) riuscirono a raggiungere il sud, già liberato dagli alleati. Altri scamparono in Svizzera. Ma la maggioranza che rimase visse in clandestinità adottando le più diverse strategie di sopravvivenza. L’alto numero dei salvati, in Toscana come in tutta Italia, fu merito indubbio della brevità del periodo in cui le persecuzioni si svilupparono, della scarsità di personale da parte delle forze di occupazione tedesche, talvolta del caso, ma più spesso dell’impegno di uomini e donne, gruppi o singole persone, molto diversi fra loro, ma accomunati dalla convinzione di contrastare il disegno distruttivo del nazifascismo.

Le persecuzioni antiebraiche a Firenze

di Marta Baiardi

A Firenze, la “persecuzione delle vite” degli ebrei durò undici mesi, a partire da quella mattina dell’11 settembre 1943 in cui i tedeschi occuparono la città. La caccia all’uomo che si scatenò da allora portò alla deportazione di centinaia di persone. Di trecentoundici di loro si conosce l’identità. Solo in quindici tornarono indietro, otto donne e sette uomini. Ventisette erano i bambini, fra loro nessun superstite. La più piccola si chiamava Fiorella Calò ed era figlia di una famiglia povera di venditori ambulanti, sfollati e catturati tutti al Ferrone. Fiorella Calò era nata il 1° settembre 1943. Quando fu “arrestata” insieme con tutta la sua famiglia, il 24 gennaio 1944 da italiani, aveva dunque soltanto poco più di quattro mesi.
Ma di molti altri, soprattutto ebrei stranieri, si è persa ogni traccia, e sarà molto difficile ricostruire un elenco davvero completo. Queste le vittime.
Ma chi erano i persecutori?
A Firenze, come altrove, gli esecutori della soluzione finale furono molti. Innanzitutto gli occupanti tedeschi in azione fin da subito. Poi il Reparto Servizi Speciali della 92° legione della GNR, meglio noto come la “Banda Carità”, che alla guerra contro la Resistenza organizzata affiancò un notevole impegno anche nella caccia agli ebrei, se pur meno conosciuto.
Ma il protagonista più significativo e caratteristico delle persecuzioni antiebraiche fiorentine fu senza dubbio l’Ufficio Affari Ebraici, un organo della prefettura repubblicana. Le persecuzioni antiebraiche ebbero notevole importanza nel territorio del capoluogo toscano e l’impegno delle istituzioni della RSI in questa direzione fu intenso e continuativo in quegli undici mesi di governo. Dalla fine di dicembre 1943, l’Ufficio affari ebraici ebbe sede al numero 26 della centralissima via Cavour. Oggi c’è il Consiglio regionale toscano, allora era una proprietà requisita all’avvocato ebreo Bettino Errera. Di quell’antico proprietario sopravvive una minuscola targa sul campanello del primo piano. L’Ufficio affari ebraici operò a Firenze su larga scala e con poteri assai ampi: si occupò di razzie patrimoniali ma anche di arresti, realizzando un efficace controllo capillare sul territorio. Seppe “lavorare” ai fini di un’efficace sinergia tanto con la “Banda Carità” quanto con la questura di Firenze, fino ad essere in grado di coordinare tutta l’attività persecutoria coniugando la violenza di carnefici senza scrupoli, incaricati della parte sporca del lavoro, torture comprese, e un gran lavorio burocratico, necessario alle diverse fasi della persecuzione. L’Ufficio redigeva liste di ebrei ricercati, verbali di confisca e di arresto. Gestiva inoltre una rete piccola ma micidiale di delatori per condurre proprie indagini sui latitanti e i loro beni.
Inoltre era l’Ufficio a tenere la contabilità dei beni incassati e i rapporti con le banche e con gli altri uffici interessati ai sequestri patrimoniali, non senza appropriazioni indebite di denaro e di beni. A capo dell’Ufficio affari ebraici era Giovanni Martelloni, un avventuriero trentottenne, volontario reduce dall’Albania, amico di Carità e di Manganiello, il capo della Provincia della RSI. Proprio attraverso l’antisemitismo Martelloni divenne una figura di spicco della RSI fiorentina, distinguendosi sia per le sue disquisizioni estremistiche che per le pratiche persecutorie. Nel dopoguerra ci fu un processo contro le malversazioni di Martelloni e della sua “banda” ma si concluse in un nulla di fatto: i principali imputati di arresti, malversazioni e violenze, furono tutti amnistiati. Finì amnistiato anche Martelloni, che essendo stato sempre latitante, riuscì a non fare neppure un giorno di galera.